L’analogico è più logico

In un articolo apparso sul sito del Corriere della Sera dello scorso 17 febbraio, a firma Federico Cella, l’autore fornisce le cifre del mercato della musica, numeri dichiarati da Deloitte e da Nielsen Soundscan, oltre che da Fimi – Confindustria. Forse può risultare noioso tornarci anche una volta ogni tanto su questi argomenti, ma credo che qualche spunto di riflessione, magari di condivisione così come di sana critica, sia opportuno. Noi siamo qui per salvaguardare e chissà forse anche rilanciare (se basta parlarne) il supporto fonografico vinilico, ma ragazzi viviamo in un mondo che ha perso la speranza. Intanto qualche numero: il fatturato della musica digitale, quella che viene ovviamente scaricata legalmente, i dati riguardano il periodo 2009 rispetto al 2008, ha avuto un incremento del 27% che permette di raggiungere i 21 milioni di Euro di fatturato. Per contro, i supporti tradizionali (LP e CD) hanno fatturato nel 2009 144 milioni di Euro, mentre nel 2008 i milioni erano 178, con quindi una flessione del 19%. Questi i dati ufficiali di Confindustria. Per Deloitte, la perdita dei supporti tradizionali è del 24%, una percentuale che è finita pari pari nel mercato digitale. La per noi tragica notizia è che, secondo Nielsen Soundscan, il vinile, dopo due anni di crescita, ha fatto registrare una flessione del 7%, fermando il fatturato a 1,4 milioni di Euro. Un dato che ovviamente non tiene conto (e non potrebbe) del mercato del vinile usato, che credo sia almeno cinque o sei volte superiore a quello dei dischi nuovi, non foss’altro che per la quantità di dischi esistenti nel globo.

SI SALVI CHI PUÒ

Sarà la crisi strutturale e generale che ha colpito e continua a infierire un po’ in tutti i settori merceologici della nostra economia, sarà che i dischi sono troppo cari e non c’è stato uno straccio di governo capace di abbassare almeno l’aliquota Iva, ma secondo me il problema è un altro. L’ho già scritto, lo ripeto. Oggi la musica è in ostaggio della mediocrità del mondo che la ospita. Si scarica un disco come l’orario dei treni, come una ricetta, o come una qualsiasi cosa senza valore. Stessa cosa per i film, e così via. Siamo un popolo di sprovveduti e non ce ne rendiamo conto, anzi, ogni furbata, ogni insulto al rispetto per le cose e per la gente, per l’arte nel nostro caso, è diventato un motivo di vanto, di orgoglio e del relativo apprezzamento del pubblico (non pagante). Con questa premessa è difficile che il mercato discografico possa in tempi brevi (o lunghi) ritrovare il segno + nei suoi fatturati. Non abbiamo la cultura della musica, non siamo in grado di discernere il buono dall’ignobile, ci beviamo tutte le porcate che il mercato discografico, più ignorante di noi, ci propina. E ci appassioniamo anche. Per un eccesso di snobismo mi sono sorbito in questi giorni il Festival di Sanremo. Comunico ufficialmente che il livello della nostra cultura musicale è esattamente quello di tutti coloro che, con il loro voto (ma sarà vero? Non saranno forse le case discografiche che con lauti assegni mandano avanti questa o quella canzone?) hanno mandato in finale Pupo e la sua cricca. A parte un paio di canzoni, devo dire che siamo veramente alla frutta, anzi, al caffè e, ovviamente, il paio di canzoni a mio avviso apprezzabili in finale non ci è arrivato.

CHI HA VOGLIA DI FARE QUALCOSA?
Se il trend delle vendite dei dischi, in generale, dovesse essere confermato, fra cinque o sei anni (alla media del -20%) nessuno produrrà più musica. Oppure finiremo tutti a ricoglionirci davanti al computer a scaricare a destra e manca come degli alieni. Ovviamente, in Italia e anche in altri paesi l’amore per la musica e il prodotto musicale di qualità esiste. La nicchia è sempre più piccola ma c’è. Premesso che i responsabili delle grandi case discografiche sarebbero da internare, perché sono solo dei faccendieri al servizio delle società finanziarie e non degli editori musicali e sono loro la causa del massacro del mercato discografico, a me piacerebbe molto che il nucleo sano della nostra società imprenditoriale e intellettuale trovasse la forza di unirsi. Non so in che modo, o in che forma, ma finché uno rimane piccolo non ce la farà mai. Io credo che sia una questione di sopravvivenza, la loro e quella dei prodotti che certamente con fatica e sacrifici confezionano. Qui siamo in piena “resistenza” non è difficile da capire. E sono tempi così grami che ho cominciato a guardare i CD con tenerezza. Se il 99% della gente ha deciso di abbruttirsi, non è per forza detto che il rimanente 1% debba fare altrettanto. L’obiettivo è diventare il 2% e iniziare a ricostruire, tutti insieme, una nuova sensibilità verso quello che ascoltiamo, partendo magari dal “come” lo ascoltiamo, o anche dal “perché”. Non sto facendo un discorso di generi musicali, ognuno ama la musica e gli artisti che ama, massimo rispetto sempre. Mi piacerebbe però che l’oggetto della mia passione, una passione che credo sia condivisa da moltissime persone, vivesse in un ambiente un po’ più dignitoso e rispettoso. Ma siccome dignità e rispetto difficilmente generano utili, mi sa tanto che ho scritto ancora una volta un sacco di parole per niente, e mi sa anche che fra non so quanto lo rifarò.

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