Un eroe dei nostri giorni…
Questo articolo è tratto dal sito web della Fondazione Premio Napoli e risale al 2008…
…sono passati quasi due anni e tante cose possono essere cambiate, ma spero ardentemente che Tattoo Records sia ancora al suo posto, a resistere sprezzante a tutte le intemperie con il suo fiero Nostromo sul ponte di comando…
…in ogni caso è una storia, forse di altri tempi, che merita di essere conosciuta e condivisa, perchè è grazie a quelli come Enzo che tante cose hanno ancora un senso…
TATTOO RECORDS | |
In direzione ostinata e contraria | |
di Athos Zontini | |
Oggi Enzo ha un’aria triste, quando entro mi saluta senza sforzarsi di sorridere e mi racconta che un’ora fa sono passate in negozio tre ragazze di Avellino a prendere un’antologia di Murolo degli anni settanta, sei vinili piuttosto rari che aveva in negozio ancora nuovi. Mi devi credere, insiste Enzo, non avranno avuto più di vent’anni, le gambe più dritte che abbia mai visto. Prima di vendere dischi Enzo Pone faceva il ferroviere a Milano. Per anni ha gestito gli scambi dei binari con un registratore in tasca e le cuffie all’orecchie, ne parla come una malattia della musica mentre lo immagino che cammina sulle rotaie ascoltando Coltraine e guardandosi intorno vede la vita di un altro. Tattoo Records ha aperto nell’82. Quando gli ho chiesto perché lo ha chiamato così, Enzo ha accennato a un negozio di New York, pieno di picture disc appesi alle pareti, dove una ragazza lo ha portato una sera. I disegni sulle facciate dei vinili sembravano tatuaggi, ha detto senza dargli troppa importanza. Tattoo andava così bene che nel ‘91 Enzo ha aperto un altro negozio a piazza Bellini, dove adesso c’è il caffè arabo. “Il sole anche di notte” faceva orario continuato dalla mattina fino a notte tardi, sette giorni su sette, anche di domenica. L’idea era di arrivare a tenerlo sempre aperto, un negozio di dischi dove poter andare dopo cena o all’alba, che non chiudesse mai. Nel giro di pochi anni le cose hanno cominciato a mettersi male per tutti i piccoli negozi di dischi, si vendeva sempre meno, anche Tattoo era sull’orlo del fallimento. Enzo è riuscito a tenerlo aperto anche in perdita solo grazie ad un’altra attività che aveva cominciato da poco. Dall’89 al 94 ha organizzato la maggior parte dei concerti jazz in Campania, portando per la prima volta a Napoli Charlie Haden, John Abercrombie, Paul Motian, Joe Lovano, Bill Frisell, Cassandra Wilson e molti altri. Per guadagnarci era costretto a comprare quattro, cinque date alla volta. Prenderne solo una sarebbe stato antieconomico. La maggior parte dei concerti venivano fissati tra Milano e Bologna e già pagando il viaggio ai musicisti fino a Napoli non rientrava nelle spese, dopodichè c’erano vitto e alloggio per il gruppo, trasporto e scarico materiali, tutto a spese sue fino all’attacchinaggio dei manifesti che si faceva da solo. Di quegli anni si ricorda quanto dormiva poco, tutto il giorno al negozio e la notte avanti e indietro in autostrada su un furgone. L’unica cosa che mi importa, ripete spesso Enzo, è che Tattoo resti aperto. Da quasi trent’anni passa più tempo lì dentro che a casa sua, e non per modo di dire, fa orario continuato dalla mattina alle otto di sera, compresa la domenica fino a ora di pranzo. Da quando lo conosco questo posto è sempre lo stesso, la musica alta tutto il giorno, scatole a terra da aprire, dappertutto dischi ancora da sistemare negli scaffali e fogli sparsi sul bancone dove segna gli ordini dei clienti con una grafia illeggibile. Negli ultimi anni quasi tutti i piccoli negozi di dischi hanno dovuto chiudere o si sono trasformati in qualcos’altro, costretti dalla famigerata crisi delle vendite ma soprattutto dalla presenza troppo ingombrante dei megastore, che tra Vomero e Chiaia sembra si siano spartiti definitivamente la città. Tattoo è uno degli ultimi sopravvissuti, continua ad andare ostinatamente per la sua strada con una politica irriverente, a cominciare dal costo dei dischi. Ma non è per questo, almeno non solo, che Tattoo riesce a resistere, a rimanere ancora aperto. A fare la differenza è il modo in cui Enzo fa il suo mestiere. Oltre ad avere una cultura musicale raffinata e vastissima, passa ore a parlare di musica e far sentire dischi ai clienti. Da lui si trovano rarità come vinili di Ida Cox degli anni trenta, album fuori produzione come Mistery Lady di Etta James che reinterpreta Billy Holiday o Famous Blue Raincoat di Jennifer Warnes, cover di Leonard Cohen arrangiate dallo stesso Cohen, fino a roba d’importazione che difficilmente si vede in Italia, come Lagrimas Negras di Bebo Valdés e Diego “el cigala” o El Carretero di Guillermo Portabales, un disco di salsa campesina, la salsa malinconica dei montanari, tutto suonato con una chitarra preparata che sembra un sitar. Anche oggi come al solito sono uscito da Tattoo con molti più dischi di quanti me ne posso permettere. C’era una copia ancora nuova di Anidride solforosa di Dalla che cercavo di ritrovare da anni, If I Could Only Remember my Name di David Crosby, non si sa come solo a otto euro visto che lo hanno appena ristampato, Gospel Train di Sister Rosetta Harp, A Woman Alone with the Blues di Maria Muldaur e Le Nuvole di De Andrè, tutti a prezzo speciale, i soliti dieci euro e novanta. Le Nuvole è un disco che avevo e che ho perso, tornato a casa è il primo che ho riascoltato. C’è una citazione nel libretto che non ricordavo più. Mi ha fatto pensare a Enzo e al suo negozio di dischi, alla sua resistenza appassionata. È una frase di Samuel Bellamy, pirata delle Antille del XIII secolo, che dice “…io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo quanto colui che ha cento navi in mare”. |