Un eroe dei nostri giorni…

Questo articolo è tratto dal sito web della Fondazione Premio Napoli e risale al 2008…

…sono passati quasi due anni e tante cose possono essere cambiate, ma spero ardentemente che Tattoo Records sia ancora al suo posto, a resistere sprezzante a tutte le intemperie con il suo fiero Nostromo sul ponte di comando…

…in ogni caso è una storia, forse di altri tempi, che merita di essere conosciuta e condivisa, perchè è grazie a quelli come Enzo che tante cose hanno ancora un senso…

 

 

 

TATTOO RECORDS
In direzione ostinata e contraria
 
 di Athos Zontini
 

Oggi Enzo ha un’aria triste, quando entro mi saluta senza sforzarsi di sorridere e mi racconta che un’ora fa sono passate in negozio tre ragazze di Avellino a prendere un’antologia di Murolo degli anni settanta, sei vinili piuttosto rari che aveva in negozio ancora nuovi. Mi devi credere, insiste Enzo, non avranno avuto più di vent’anni, le gambe più dritte che abbia mai visto.
Mentre rimpiango di non essere arrivato un’ora prima, mi dice che queste tre lo hanno appena richiamato. Sono state scippate, gli hanno preso anche una delle buste con i dischi, speravano ne avesse altre copie. Enzo non se ne fa capace, tre ragazze come quelle che invece di andare a spendere soldi per negozi a via Roma sono venute in treno da Avellino a comprare dischi d’epoca. Con tanti imbecilli che camminano in mezzo alla strada potevano scippare qualcun altro.

Prima di vendere dischi Enzo Pone faceva il ferroviere a Milano. Per anni ha gestito gli scambi dei binari con un registratore in tasca e le cuffie all’orecchie, ne parla come una malattia della musica mentre lo immagino che cammina sulle rotaie ascoltando Coltraine e guardandosi intorno vede la vita di un altro.
All’inizio degli anni ottanta ha lasciato tutto e se n’è tornato a vivere a Napoli. La musica era l’unica cosa a cui andava dietro da sempre ma non lo sapeva bene neanche lui cosa avrebbe fatto per vivere, finché dopo qualche mese ha visto un locale all’angolo di piazzetta Nilo col cartello “cedesi” sulle saracinesche, un posto ideale per un negozio di dischi.

Tattoo Records ha aperto nell’82. Quando gli ho chiesto perché lo ha chiamato così, Enzo ha accennato a un negozio di New York, pieno di picture disc appesi alle pareti, dove una ragazza lo ha portato una sera. I disegni sulle facciate dei vinili sembravano tatuaggi, ha detto senza dargli troppa importanza.
Tattoo è stato il primo negozio a Napoli di dischi d’importazione. Enzo si rivolgeva a dei piccoli distributori indipendenti, come l’IRD, che facevano ricerca in tutto il mondo e riuscivano a procurargli titoli ignorati dai cataloghi dei grossi importatori italiani. I dischi se li faceva mandare da Milano, a spese sue, con un corriere espresso che consegnava in ventiquattr’ore. Anche due, tre volte alla settimana. Lo stesso ricambio di una salumeria. I giorni di consegna, ricorda, c’erano ragazzi ad aspettare fuori al negozio l’arrivo del camion per aprire i pacchi insieme a lui e sentire subito cos’era arrivato di nuovo. Erano gli anni ottanta, c’era ancora fame di musica.

Tattoo andava così bene che nel ‘91 Enzo ha aperto un altro negozio a piazza Bellini, dove adesso c’è il caffè arabo. “Il sole anche di notte” faceva orario continuato dalla mattina fino a notte tardi, sette giorni su sette, anche di domenica. L’idea era di arrivare a tenerlo sempre aperto, un negozio di dischi dove poter andare dopo cena o all’alba, che non chiudesse mai.
A farlo fallire dice che è stata la guerra del golfo. Quando è scoppiata la gente ha smesso di uscire. Fino all’anno prima a Napoli c’era più vita di notte che di giorno, poi all’improvviso stavano tutti davanti alla televisione.

Nel giro di pochi anni le cose hanno cominciato a mettersi male per tutti i piccoli negozi di dischi, si vendeva sempre meno, anche Tattoo era sull’orlo del fallimento. Enzo è riuscito a tenerlo aperto anche in perdita solo grazie ad un’altra attività che aveva cominciato da poco. Dall’89 al 94 ha organizzato la maggior parte dei concerti jazz in Campania, portando per la prima volta a Napoli Charlie Haden, John Abercrombie, Paul Motian, Joe Lovano, Bill Frisell, Cassandra Wilson e molti altri. Per guadagnarci era costretto a comprare quattro, cinque date alla volta. Prenderne solo una sarebbe stato antieconomico. La maggior parte dei concerti venivano fissati tra Milano e Bologna e già pagando il viaggio ai musicisti fino a Napoli non rientrava nelle spese, dopodichè c’erano vitto e alloggio per il gruppo, trasporto e scarico materiali, tutto a spese sue fino all’attacchinaggio dei manifesti che si faceva da solo. Di quegli anni si ricorda quanto dormiva poco, tutto il giorno al negozio e la notte avanti e indietro in autostrada su un furgone.

L’unica cosa che mi importa, ripete spesso Enzo, è che Tattoo resti aperto. Da quasi trent’anni passa più tempo lì dentro che a casa sua, e non per modo di dire, fa orario continuato dalla mattina alle otto di sera, compresa la domenica fino a ora di pranzo. Da quando lo conosco questo posto è sempre lo stesso, la musica alta tutto il giorno, scatole a terra da aprire, dappertutto dischi ancora da sistemare negli scaffali e fogli sparsi sul bancone dove segna gli ordini dei clienti con una grafia illeggibile.

Negli ultimi anni quasi tutti i piccoli negozi di dischi hanno dovuto chiudere o si sono trasformati in qualcos’altro, costretti dalla famigerata crisi delle vendite ma soprattutto dalla presenza troppo ingombrante dei megastore, che tra Vomero e Chiaia sembra si siano spartiti definitivamente la città. Tattoo è uno degli ultimi sopravvissuti, continua ad andare ostinatamente per la sua strada con una politica irriverente, a cominciare dal costo dei dischi.
Per tenere i prezzi sempre più bassi possibile, anche sulle nuove uscite, Enzo compra dalle major solo nei mesi di promozione, quando dal catalogo vengono messi in offerta gli album che stentano a vendere. Ne prende due, tremila copie alla volta, così gli durano tutto l’anno sempre a dieci euro e novanta. I dischi che ancora vendono bene e non vanno mai in promozione si rifiuta di prenderli, tanto per fare un esempio da lui non si trovano i Genesis. La stessa cosa vale anche per il vinile. Oltre all’usato, che si fa arrivare da mezzo mondo in condizioni perfette, da un po’ di tempo sta anche comprando in America edizioni nuove di vecchi album, appena ristampati, che gli costano un terzo di quanto li pagherebbe in Italia.

Ma non è per questo, almeno non solo, che Tattoo riesce a resistere, a rimanere ancora aperto. A fare la differenza è il modo in cui Enzo fa il suo mestiere. Oltre ad avere una cultura musicale raffinata e vastissima, passa ore a parlare di musica e far sentire dischi ai clienti. Da lui si trovano rarità come vinili di Ida Cox degli anni trenta, album fuori produzione come Mistery Lady di Etta James che reinterpreta Billy Holiday o Famous Blue Raincoat di Jennifer Warnes, cover di Leonard Cohen arrangiate dallo stesso Cohen, fino a roba d’importazione che difficilmente si vede in Italia, come Lagrimas Negras di Bebo Valdés e Diego “el cigala” o El Carretero di Guillermo Portabales, un disco di salsa campesina, la salsa malinconica dei montanari, tutto suonato con una chitarra preparata che sembra un sitar.

Anche oggi come al solito sono uscito da Tattoo con molti più dischi di quanti me ne posso permettere. C’era una copia ancora nuova di Anidride solforosa di Dalla che cercavo di ritrovare da anni, If I Could Only Remember my Name di David Crosby, non si sa come solo a otto euro visto che lo hanno appena ristampato, Gospel Train di Sister Rosetta Harp, A Woman Alone with the Blues di Maria Muldaur e Le Nuvole di De Andrè, tutti a prezzo speciale, i soliti dieci euro e novanta. Le Nuvole è un disco che avevo e che ho perso, tornato a casa è il primo che ho riascoltato. C’è una citazione nel libretto che non ricordavo più. Mi ha fatto pensare a Enzo e al suo negozio di dischi, alla sua resistenza appassionata. È una frase di Samuel Bellamy, pirata delle Antille del XIII secolo, che dice “…io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo quanto colui che ha cento navi in mare”.

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