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SKYE WALLACE – Terribly Good

di Paolo Crazy Carnevale

8 gennaio 2024

Skye Wallace - Terribly Good (1)

SKYE WALLACE – Terribly Good (Six Shooter Records)

È uscito poco più di un anno fa questo disco della canadese Skye Wallace. Definire Skye è difficile, è una cantautrice? Sì, anche. È una rockettara? Indubbiamente. È folk? A modo suo. Ed è anche punk, sempre a modo suo. Nulla a che vedere però con la commistione di folk e punk di gruppi come Pogues o Dropkick Murphys.

Skye Wallace è soprattutto Skye Wallace e la sua magia è identica sia che stia guidando la sua band in una forsennata performance dal vivo, sia che stia imbracciando la chitarra acustica per cantare una delle sue canzoni o per snocciolare una cover davanti al monitor in modalità selfie dello smartphone (o i-phone se preferite).

La sua forza è la naturalezza in entrambi i casi, così come l’energia, l’originalità, la spontaneità.

Tutte qualità che ritroviamo in questo LP di otto canzoni che ci consegna una Skye Wallace al top della forma, accompagnata da un gruppo elettrico di straordinaria potenza, non lo stesso che l’accompagna dal vivo, fatta eccezione per la bassista J Strautman, irrinunciabile sparring partner sul palco sia per i cori che per la presenza scenica, e della tastierista Gina Kennedy.

Non è dunque un caso se la musicista sia stata premiata dalle stazioni radio canadesi che ne hanno trasmesso i lavori con continuità e convinzione.

Il disco è il risultato di una serie di produzioni differenti, non dimentichiamo che i brani sono stati scritti e registrati nel periodo pandemico e quindi con la difficoltà di avere sempre gli stessi musicisti in studio: così in cabina di regia troviamo sia Gus Van Go che Devon Lougheed, impegnati entrambi anche come strumentisti nei brani di cui sono produttori.

Il titolo del disco, che sia voluto o meno, è davvero esplicativo perché ci troviamo davvero al cospetto di un LP terribilmente buono!

La prima facciata si apre con tre brani bomba, un’infilata del genere non la ascoltavo da un sacco di tempo, l’incedere lento di Tooth And Nail prende dal primo ascolto, poi quando entra la voce duttile della Wallace a dominare il brano, il gioco è fatto.

The Doubt, in un’epoca in cui i singoli erano solidi e non aerei, avrebbe spopolato nelle charts, quelle vere: è un brano contagioso dalla prima nota al refrain, cantato con la Strautman, roba da surclassare le Runaways, con un riff degno di questo nome. Tocca poi a Everything Is Fine, che era stato il primo brano del disco ad uscire alla luce, un brano costruito a sua volta molto bene, accompagnato da un video un po’ inquietante, con un testo come il precedente che sembrerebbe fare riferimento ad una relazione finita in modo sbagliato.

La prima facciata si conclude con Truth Be Told, introdotto dalla la voce modulata che si muove su una base ipnotica, il primo verso sembrerebbe ricondurre all’anima cantautorale della Wallace, ma poi il refrain esplode in un tripudio di suoni, per ricondursi infine al tappeto sonoro iniziale.

La seconda facciata inizia con una chitarra acustica, ma non facciamoci ingannare, l’elettrica segue a ruota e parte Phantom Limb, una di quelle canzoni in cui la voce di Skye sembra inseguire i fasti vocali della miglior Joni Mitchell, entrambe canadesi, entrambe bionde, entrambe (soprattutto) brave. Molto efficaci i cori (di nuovo la Strautman, con la Kennedy e Lougheed), bello il solo di chitarra in bilico tra metal e seventies.

The Keeper è un’altra delle perle del disco, un brano eseguito in solitudine, chitarra elettrica e voce, la voce è uno spettacolo, i cori sono in punta di piedi e a cura degli stessi tre soggetti che se ne occupavano nel brano precedente, sembra di essere distanti anni luce da quanto ascoltato fin qui, ma in realtà è la stessa farina a fornirne la pasta, solo lavorata in altro modo, a testimonianza della versatilità dell’artista.

Partenza lenta e poi esplosione per You Left, con le tastiere della Kennedy in sottofondo e col tema ricorrente della relazione finita; il disco si conclude con la breve Tear A Piece (Bite Me), di nuovo caratterizzata da un refrain molto orecchiabile, lontanamente echi di Runaways e Bangles si fanno largo, grazie anche alla parte cantata in modo ossessivo, con un testo che sembrerebbe indicare una riscossa rispetto alle liriche dei brani precedenti.

Paolo Crazy Carnevale

SKYE WALLACE – Skye Wallace

di Paolo Crazy Carnevale

17 settembre 2020

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Skye Wallace – Skye Wallace ( Kingfisher Bluez 2019)

“Skye Wallce è ciò che accade quando una collaudata cantautrice con radici sulla costa orientale scopre il punk rock”: sono le parole in cui la cantautrice canadese viene presentata nel suo sito ufficiale. Direi che ci sta tutto, perché è proprio quello che vedendola dal vivo (è passata diverse volte nella nostra penisola, anche in versione acustica) e ascoltando questo suo recente disco si percepisce.

Un disco rock, fantasticamente rock, spesso sostenuto da ossessiva sezione ritmica, con chitarre taglienti e riff arrabbiati, ma tutto cantato con una voce unica, personale, originale. Dire che Skye Wallace sembra una scanzonata Joni Mitchell in shorts e minigonne non è sicuramente esagerato.

E se a livello lirico doppiare la “Sweet Joni” di younghiana memoria è impossibile, di certo la Wallace non canta cose scontate, il suo repertorio, in particolare in questo disco è focalizzato su storie di donne; per giunta negli ultimi mesi, bloccata artisticamente dal lockdown, è molto attiva sui social in difesa dei nativi nonché fortemente impegnata sul fronte Black Lives Matter.

Accompagnata in studio dal produttore Devon Lougheed (basso e chitarre), da Brian Besse (chitarre e Wurlitzer), dalla viola di Rachel Cardiello e dal batterista Brad Kilpatrick, la bionda Skye allinea dieci brani (cinque per ogni lato del vinile) che si ispirano ad uno studio approfondito su una struttura ospedaliera di Terranova e gli anni della corsa all’oro Dawson City, nello Yukon, dove la Wallace per u n certo periodo è stata di casa per una lunga serie di concerti.

Il disco si apre con una delle sue perle, Death Of Me, triste storia ispirata da quella di un’infermiera dell’ospedale che dopo aver lasciato la struttura per mettere su famiglia vi tornò per morie di parto! Storia triste, ma trattata con profondità e amore, affidata ad una musica elettrica e vincente. Storie di donne anche per There is A Wall e per Coal In Your Window (ispirata da un’altra infermiera), scelta come singolo trainante del disco e costruita su un riff ossessivo e distorto. Identica location d’ispirazione anche per la più lirica e raccolta Stand Back, in cui il collegamento con la Mitchell sembra più diretto e naturale, con un refrain che conquista: la voce di Skye è ottima e l’arrangiamento con la viola assolutamente azzeccato. Gran uso della voce in Iced In, che mescola le fredde atmosfere di terranova con quelle di Dawson City, coniugandole ad una musica incalzante e ossessiva.

Sul lato B si parte subito con un’altra composizione che conquista, Always Sleep With A Knife, le donne cantate sono qui la bisnonna e la trisavola di Skye, il fatto di dover dormire con un coltello è riferito al fatto che per queste donne cresciute nei campi di minatori dell’Ontario fosse legato strettamente alla sopravvivenza. Applausi per Skye!

French Marie, protagonista di Body Light The Way è invece una prostituta nel Klondike dei cercatori d’oro, ancora una volta un buon brano, con cori a cura della cantante e del produttore. Il femminicidio di Angelina Napolitano è alla base di Swing Batter, dall’accompagnamento ritmico insistentemente minimale in cui la talentosa cantautrice si doppia con la voce dando origine a interessanti soluzioni armoniche, voce che diventa quasi angelica nell’ispirata Midnight, bellissima composizione dedicata ad un’amica. Il disco termina con Suffering For You che s’ispira alla storia di un gruppo di persone (bimbi inclusi) disperse durante una spedizione nel diciottesimo secolo, la donna di riferimento, cantata qui da Skye, sempre con profonda ispirazione, è una donna Inuit chiamata Tookoolito che le aiutò a sopravvivere al congelamento. Ancora una volta il brano è impreziosito dall’uso della voce sovraincisa più volte.

E fate attenzione, se mai torneranno in auge i concerti, non negatevi il piacere di assistere ad uno di quelli di Skye Wallace se dovesse capitarvi a tiro. O, come direbbero gli americani: don’t dare miss it!