GRAHAM NASH – This Path Tonight
di Paolo Crazy Carnevale
25 luglio 2016
GRAHAM NASH – This Path Tonight (Blue Castle 2016)
Dei signori della strada a quattro corsie, Graham Nash è senza dubbio quello dalla carriera solista meno memorabile: pochi dischi non sempre particolarmente azzeccati. I più lo ricordano per i primi due, quelli usciti negli anni settanta, quando l’acronimo CSNY faceva muovere folle e denari anche senza esistere di fatto. Personalmente sono affezionato al terzo disco, Earth & Sky, forse non apprezzato come i predecessori (in particolare Songs For Beginners) ma comunque ispirato e ben suonato, con l’unico difetto di essere uscito nel 1980 pagando dunque dazio a certe sonorità del nefido decennio che stava cominciando. I dischi successivi sono finiti (anche giustamente) nel dimenticatoio e le cose migliori Nash le ha sempre riservate ai dischi in trio, quartetto o duo.
Questo nuovo disco arriva a quattordici anni di distanza dal suo predecessore e in un momento denso di cambiamenti per il cantante inglese (naturalizzato californiano), giusto all’indomani dell’annuncio della fine irreversibile della partnership col baffuto Crosby (e di conseguenza anche con gli altri due, leggermente più giovani, ex soci) e del divorzio dalla moglie Susan (che, stando alla bellissima autobiografia uscita un paio d’anni fa, era stata la sua ancora di salvezza quando la sua vita era particolarmente burrascosa).
Le canzoni sono state scritte tra il divorzio da Susan e quello da David e sicuramente tra le fonti d’ispirazione di questo nuovo lavoro c’è la nuova relaziona sentimentale di Graham. Che il nostro avesse delle nuove canzoni nel cassetto non era una novità, ne recenti tour del trio si era ascoltato qualcosa che per altro è rimasto nel cassetto, proprio per dare spazio e visibilità (o udibilità trattandosi di musica) alle cose più recenti: la prima grande novità è la collaborazione stabile a livello compositivo con il chitarrista Shane Fontayne, da tempo colonna portante della band di CSN. Dieci canzoni in tutto, come sui dischi di una volta – la durata è più o meno quella – e pochi musicisti a costruire le architetture sonore del prodotto; sicuramente un buon disco, con delle buone, a volte più che buone, canzoni. L’unico problema – per chi si aspettava un classico disco di Nash – è il fatto che non ci sono le armonie vocali con il vecchio tricheco ed i suoni sono abbastanza lontani, per quanto non brutti, da quelli della California degli anni settanta, quando a suonare nei dischi di Nash facevano capolino i nomi di Craig Doerge, David Lindley, Joe Walsh, Jackson Browne, Danny Kootch Kortchmar. Ma d’altronde esiste un classico disco di Graham Nash? A ben vedere i suoi album (mi piace usare ancora questo termine caduto in disuso) solisti sono tutti abbastanza differenti l’uno dall’altro. Shane Fontayne è uno che suona di volta in volta come il chitarrista il cui ruolo deve andare a sostituire: non in questo frangente però, le chitarre qui sono tutte sue, e d’altronde è lui lo sparring partner nella composizione e quindi non è tenuto ad imitare Neil Young, Stephen Stills o Jerry Garcia (come quando suona in Teach Your Children).
Le canzoni sono costruite su testi di carattere personale, niente inni politici o ecologici, solo canzoni attraversate dalla sempre bella voce dell’ex Hollies e dalle varie chitarre del suo connazionale Fontayne, cori femminili e l’inestimabile ottimo organo di Todd Caldwell (altra colonna portante della CSN band degli ultimi anni): se la title track la trovo personalmente fastidiosa quanto a sonorità, devo ammettere che il registro cambia presto con la succesiva Myself At Last, una canzone presentata nel tour di CSN dello scorso anno), delicata ballata d’atmosfera folk contrappuntata da una deliziosa armonica. Armonica che torna in Target, altro brano particolarmente riuscito del disco, con un sontuoso hammond a tesserne le trame e un coro che sembra riportare per un momento ai suoni perduti degli anni settanta. Golden Days è dedicata alla band degli esordi, gli Hollies ed è un altro di quei brani in punta di piedi. Fire Down Below ha un incipit blues pur non essendolo affatto, buon brano ma meno di Beneath The Waves e Another Broken Heart. Back Home è dedicata a Levon Helm, bel refrain ma con un po’ di tastiere ed effetti di troppo, con cori che cercano – senza riuscirci – di emulare certe cose di Wind On The Water. Di nuovo ispirato alla sua vita di musicista è Encore, il brano finale, basato sulle sensazioni provate dal musicista quando il concerto è finito e il pubblico in piedi continua a chiedere ancora, ancora una canzone: buon brano che inizia in acustica solitudine, crescendo pian piano con l’inserimento di voci e strumenti.
La prova del nove per questo disco, sono stati i concerti del recente tour europeo che Nash ha effettuato nei teatri in compagnia del solo Fontayne toccando anche l’Italia: le nuove canzoni sono state eseguite insieme a quelle storiche e a quelle degli altri dischi solisti di Graham, reggendo perfettamente il paragone.
Oltre all’edizione “regolare “ del disco, ne è uscita anche una in vinile in occasione del Record Store Day ed una con allegato un DVD contenente un concerto del 2015 che rende l’idea di cosa siano stati concerti europei della primavera scorsa.