Archivio di maggio 2025

TODD PARTRIDEGE – Desert Fox Blues

di Paolo Baiotti

23 maggio 2025

Todd-Partridge

TODD PARTRIDEGE
DESERT FOX BLUES
Autoprodotto 2024

Artista folk attualmente residente a Auburn nello Iowa e cresciuto in un ambiente rurale, Todd ha iniziato a suonare seriamente la chitarra a 18 anni. La famiglia si è spostata tra California, Oklahoma e Milwaukee, per tornare infine in Iowa. La sua prima band è stata The Black Light Syndrome, seguita da Salamagundi e da King Of The Tramps. Con questa formazione ha pubblicato 5 album in studio, il più recente Wild Water del 2018, che hanno ottenuto un discreto riscontro soprattutto nel Midwest. Negli ultimi anni si è dedicato principalmente all’attività solista dal vivo come “one man band”, alternando materiale del gruppo con cover e brani solisti che sono confluiti nell’album Autumn Never Knows del 2023. Più recentemente si è esibito con la nuova band The Whiskey Gospel. La sua musica è un mix di folk, blues e roots rock con qualche venatura country e gospel. Il padre suonava la tromba in un’orchestra ed era appassionato di jazz, ma lui si è formato sui dischi della madre, appassionata di rock. Dapprima si è dedicato all’hard rock, poi alla black music, tornano al blues e all’americana in tempi più recenti. È anche proprietario di uno studio di registrazione (Old School Studios) ad Auburn dove ha inciso i suoi dischi e ospitato artisti indipendenti.
Desert Fox Blues è un progetto che si distacca dal passato, trattandosi di un disco di blues inciso su un registratore a nastro d’epoca in due sessioni a Tucson in Arizona nello studio Dust And Stone, con Gabriel Sullivan alla produzione e l’uso della voce filtrata. Desert Fox Blues comprende dieci tracce autografe in cui Partridge è accompagnato da alcuni musicisti esperti scelti da Sullivan: Winston Watson (Bob Dylan, Alice Cooper, Giant Sand) alla batteria, Nick Agustine (Rainer and Das Combo) al basso e Tom Albanese di Chicago (Bo Ramsey, Willie Hayes Band) all’armonica. In seguito, è stato aggiunto Kent Burnside (nipote di R.L. Burnside) alla chitarra, registrato nello studio di Todd. Il disco mischia influenze desertiche, del Delta del Mississippi, Hill Country Blues, New Orleans e Chicago cercando un suono sporco e polveroso con poche sovraincisioni, per catturare lo spirito grezzo e irrequito del passato. Todd ha dichiarato: “Ci siamo trovati bene l’uno di fronte all’altro. Questo ha dato alla musica un’intimità, un’immediatezza. Abbiamo lasciato che fosse l’intuizione a prendere il sopravvento, non l’improvvisazione. I brani erano abbozzati, alcuni li abbiamo modificati, altri li abbiamo lasciati andare come venivano.”
Partendo con l’energica Depression guidata da un’espressiva armonica e finendo con il morbido country-blues After The Work Is Done in cui emerge la slide di Joe Novelli, Todd traccia un percorso che non ha punti deboli e mette in rilievo un “groove” trascinante come in Gotta Do e Interstellar Planetary. Se il rock-blues Keep On Keeping On è debitore dei Canned Heat, in Lost Your Shoe Blues spicca una chitarra abrasiva, mentre in Goin’ Home si nota un’armonica che si inserisce senza timori.

Paolo Baiotti

MICHAEL JOHNATHON – My Covers Volume One

di Paolo Baiotti

23 maggio 2025

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MICHAEL JOHNATHON
MY COVERS VOLUME ONE
PoetMan Records 2024

Artista eclettico ed estremamente prolifico, il newyorkese di nascita Michael Johnathon, che da tempo si è stabilito sulle colline alla base dei Monti Appalachi, dichiara di avere scritto più di 300 canzoni e di avere pubblicato 21 album. Ma non si limita a scrivere e cantare canzoni! Michael è drammaturgo, scrittore (è autore della serie Woodsongs di cinque libri e di una serie per bambini), compositore di opere teatrali, fondatore dell’associazione SongFarmers che si occupa di diritti degli artisti, animatore di un programma radiofonico per adulti (The Woodsongs Old-Time Radio Hour) e di uno per bambini (Woodsongs Kids). Dopo l’album Garden Of Silence del 2023, morbido e melodico, composto da dieci tracce originali e una cover di Pete Seeger, questa volta Johnathon ha scelto nove canzoni di artisti che ammira e che lo hanno influenzato, i suoi “compagni, nemici e amici” come li definisce nelle note di copertina. Trattandosi in parte di brani iconici, Michael ha scelto la strada rischiosa di arrangiarli in modo personale, come se li avesse scritti lui. Il tocco personale si sente e non guasta nella maggior parte dei casi, rendendo più interessante il disco rispetto a versioni copia/incolla.
Così il classico degli anni trenta Blue Moon è ripreso con una dolce chitarra acustica e tocchi di armonica di Ronn Crowder, Like a Rolling Stone è arricchita da archi e flauto mantenendone la linea melodica, Satisfaction assume una sorprendente veste elettroacustica (senza convincere), mentre Cats In The Cradle è caratterizzata da un’influenza folk britannica. Nel centro del disco vengono piazzate due canzoni di autori molto amati da Michael: If You Could Read My Mind di Gordon Lightfoot, essenziale nella sua veste acustica e Seeger Mashup, un rispettoso mix di Were Have All The Flowers Gone e Sailing Down My Golden River di Pete Seeger con il quale ha collaborato in passato, seguite da una Love Hurts ammorbidita rispetto alla famosa versione rock dei Nazareth. La ballata Make You Feel My Love di Dylan viene addolcita e sembra funzionare meglio di Like A Rolling Stone, mentre Vincent di Don McLean è vicina all’originale. Per terminare Michael inserisce una versione remixata del suo brano Legacy, un tributo agli artisti e ai dischi che lo hanno formato che comprende segmenti di canzoni altrui, title track di un album pubblicato nel 2020.

Paolo Baiotti

AL ROSE – Again The Beginner

di Paolo Baiotti

16 maggio 2025

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AL ROSE
AGAIN THE BEGINNER
Monkey Holding Peach 2022

Non è certo un novellino Al Rose, che con Again The Beginner ha pubblicato il suo ottavo progetto solista avendo alle spalle buone recensioni e una discreta programmazione sulle radio di Americana. Se dal vivo alterna concerti da solo ad altri con The Transcendos, la sua band, in studio provilegia la dimensione elettrica. Ha studiato il flauto durante il periodo scolastico, poi si è dedicato alla chitarra, ma avendo come principale interesse quello della composizione e del canto. Così durante il periodo del college ha suonato nei caffè da solista e come leader dei Buffalo Trout nell’area di Chicago; in seguito ha formato The Transcendos. Alla sua maturazione ha giovato la collaborazione con l’esperto ingegnere del suono e produttore Blaise Barton (Liz Phair, Magic Slim & The Teardrops, John Primer), proprietario dei JoyRide Studios a Chicago; ha esordito da solista con Information Overload nel ’94, seguito da Naked In A Trailer e da Pigeon’s Throat nel 2000, proseguendo con altri quattro dischi fino a Spin Spin Dizzy del 2017.
Dopo una lunga pausa Again The Beginner è stato inciso sempre a Chicago con Blaise Barton in cabina di regia insieme a The Transcendos, che comprendono il bassista Steven Hashimoto, il chitarrista Steve Doyle, il batterista Lance Helgeson e il chitarrista Maury Smith, insieme da più di dieci anni,.
Tredici brani scritti da Al confermano il suo gusto per la melodia in chiave rock-pop, con venature country e folk. L’apertura di Don’t Know Why ha un riff rock trascinante che ricorda The Who circondato da un basso mosso abilmente, ma la title track è più vicina al folk melodico, mentre la successiva Any Fool Will Tell You cerca di mixare queste due tendenze. La voce di Al non è un punto di forza: non che sia brutta o priva di melodia anzi, però è carente di profondità e di originalità. Quanto alle canzoni sono discrete con dei testi di un certo interesse sociale e politico. Qualche punto in più lo meritano l’energica Shooting Straight, Smile Of Sorrow avvolta dagli archi, la cavalcata trascinante di Said & Done, la jazzata Tokyo Gypsy e le ballate d’impronta country All Of This Is Yours e Dignity & Grace poste in chiusura dell’album.

Paolo Baiotti

SURRENDER HILL – River Of Tears

di Paolo Baiotti

16 maggio 2025

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SURRENDER HILL
RIVER OF TEARS
Blue Betty 2024

Robin Dean Salmon (voce, chitarra, B3 e dobro) e Afton Seekins (voce e percussioni) sono la coppia che ha formato il duo Surrender Hill dopo una serie di esperienze soliste. Robin Dean è cresciuto in Sud Africa ed è tornato in Texas nel ‘77 quando la famiglia, in contrasto con la politica di apartheid del paese, si è trasferita acquistando un ranch. Quindi ha assorbito la tradizione country locale mischiata con il punk di fine anni Settanta. Dopo un’esperienza rock con la Sony è tornato alle radici country; successivamente ha conosciuto Afton cresciuta tra l’Alaska e l’Arizona, passata attraverso un’esperienza di successo come coreografa, con la quale si è sposato. I due hanno esordito nel 2015 con l’omonimo album seguito da altri cinque dischi, il più recente Just Another Honky Tonk del 2022 che ha riaffermato la passione per il country classico con influenze pop e rock. Le due voci si compensano: entrambe melodiche e morbide al punto giusto, con venature soul. A differenza del passato le canzoni sono state scritte individualmente e hanno riferimenti personali legati alla famiglia e alla perdita di persone care.
Registrato nel Blue Betty Studio della coppia situato nella città di Ellijay in Georgia dove vivono, con Jonathan Callicutt e Mike Waldron alla chitarra, la sezione ritmica che li affianca anche dal vivo formata da Matt Crouse alla batteria e Drew Lawson al basso, il prezioso aiuto di Mike Daly alla pedal steel e al dobro nonché di Eric Fritsch, Kris Crunk e Kevin Thomas che si sono alternati alle tastiere, River Of Tears non si distacca dal precedente se non per qualche dose di rock in più in tracce come Palomino di stampo roots texano, Pining Over You in cui la voce di Robin ricorda Joe Ely e Rent Is Due. Nel complesso vengono sempre privilegiati i tempi lenti di ballate country, tra le quali spiccano River Of Tears con un testo relativo al loro rapporto personale, Get Out Of Your Way, la delicata In Our Time, il sofferto mid-tempo Cry Baby, la riflessiva End Of The Line indurita da una chitarra incisiva e Great Divide.
River Of Tears scorre piacevolmente ma, come già notato ascoltando un paio di loro dischi, una sforbiciata a tre o quattro tracce che si assomigliano troppo avrebbe giovato alla compattezza dell’album.

Paolo Baiotti

SON OF THE VELVET RAT – Ghost Ranch

di Paolo Baiotti

12 maggio 2025

SonofVelvet

SON OF THE VELVET RAT
GHOST RANCH
Fluff & Gravy 2024

Son of The Velvet Rat è l’alias scelto per l’avventura solista della coppia formata da Georg Altziebler e dalla moglie Heike Binder. La loro avventura musicale inizia nel 2003 con l’Ep Spare Some Sugar, seguito dall’album By My Side. Dopo un altro paio di dischi ai quali hanno collaborato Ken Coomer (Wilco) e Lucinda Williams, hanno deciso di spostarsi da Graz al deserto del Mojave in California nel 2013, dove si sono uniti alla comunità musicale di Joshua Tree e hanno inciso l’ottavo album in studio Dorado, prodotto da Joe Henry, seguito da un live e da Solitary Company che abbiamo recensito nel 2021, un disco in cui si mischiavano la tradizione cantautorale europea con quella nordamericana e con influenze desertiche, tra folk noir, rock, garage e Americana. Una sorta di ponte tra Europa e America, guidato dalla voce sussurrata e insinuante di Georg, che a tratti incrocia Leonard Cohen e Howe Gelb dei Giant Sand.
Queste sensazioni sono confermate da Ghost Ranch, registrato nuovamente negli studi Red Barn di Morongo Valley in California con la produzione dell’ingegnere del suono e chitarrista Gar Robertson. Si ripetono gli arrangiamenti eleganti e minimali dei precedenti, i curati controcanti di Heike con una strumentazione essenziale e atmosfere di stampo cinematografico e desertico mischiate con melodie mitteleuropee. In più questa volta c’è l’accompagnamento di una band di lusso che comprende nella maggior parte dei brani Jay Bellerose (batteria), Jennifer Condos (basso) e Marc Ribot (chitarra), oltre alla collaborazione della cantautrice folk Jolie Holland (ex The Be Good Tanias) alla voce e violino e di Tony Patler all’Hammond B3.
Ghost Ranch è un disco per chi ama i tempi lenti o al massimo quelli medi e le atmosfere raffinate e rarefatte, espresse in ballate come la struggente e melodica Are The Angels Pretty? in cui non manca un fondo di asprezza o The Waterlily And The Dragonfly (già incisa in passato in veste acustica) tra spruzzate di armonica, strofe sussurrate e una ritmica essenziale, nell’iniziale Bewildering Black & White Moments Captured On Trail Cams, mid-tempo introdotto da un’armonica languida, con una batteria secca e un incrocio di atmosfere europee e immagini cinematografiche, in Beautiful Day venata di psichedelia nel finale chitarristico dissonante, nell’avvolgente melodia di Southbound Plane o nel folk desertico di Rosary con il violino inquietante della Holland e la chitarra western di Ribot. Non mancano un paio di tracce ancora più intime registrate in solitudine da Georg e Heike in un disco affascinante ammantato di mistero, che si apprezza concedendogli la giusta attenzione.

Paolo Baiotti