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ROGER LEN SMITH – Anything Goes

di Paolo Crazy Carnevale

20 agosto 2018

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ROGER LEN SMITH – Anything Goes (2018)

Erano alcuni anni che Roger Len Smith non ci faceva sentire la sua musica. Per la precisione dal 2009, anno di pubblicazione del piacevole Clear Blue Sky, nel frattempo, da Austin, Texas, si è trasferito con la famiglia in Colorado, altro stato dove la musica indipendente riesce a ritagliarsi dei begli spazi. Questo Anything Goes è il suo sesto disco, e ci conferma quanto l’artista sia maturato dai tempi del suo esordio solista risalente ormai a vent’anni fa.

Naturalmente tra un disco e l’atro Roger non ha dormito, ha suonato molto dal vivo, come solista e come turnista (in Italia lo abbiamo visto nel 2014 al seguito di Phil Cody, amico storico, che raggiunge sul palco non appena possibile, oltre che sui dischi).

Dopo il trasferimento in Colorado, Roger ha assemblato le dieci nuove composizioni, però per registrarle ha deciso di tornare in Texas, nella pacifica e romantica Wimberley, lungo le rive non sempre tranquille del Blanco River: lì, l’amico A.J. Downing – produttore e cantautore in proprio, in questo disco anche banjoista – ha costruito letteralmente con le proprie mani un piccolo studio confortevole che ha visto nascere Anything Goes.

Diciamolo subito, questo è un bel disco, fatto in casa ma ben suonato, con suoni equilibrati ben tesi a mettere in luce i lavori delle molte chitarre impiegate: Roger dal canto suo è davvero maturato e cresciuto bene come autore, e la sua voce viene impiegata al meglio, grazie anche alle armonie di Nöelle Hampton del duo The Belle Sounds, di cui fa parte anche il marito Andre Moran, che nel lavoro di Roger suona la chitarra elettrica.

Il disco si apre subito con un brano che presenta lo spessore del prodotto, Can’t Wait For Another Day, una composizione dal tiro rock’n’roll caratterizzata da una lap steel che ricorda i suoni del miglior David Lindley quando suonava nei dischi di Jackson Brown; il brano successivo conferma la bontà della prima impressione: s’intitola Rain On A Sunny Day una canzone ben riuscita (con la lap steel sostituita dalla più morbida pedal steel) che ospita Rami Jaffee (qui al vibrafono, ma già all’organo con i Wallflowers, Phil Cody e ora con i Foo Fighters). La title track non fatica a rivelarsi come una delle canzoni memorabili del disco, piuttosto lunga, con bei lavori delle chitarre: oltre a Moran c’è il prodigioso Kim Deschamps (Cowboy Junkies soprattutto e molto altro, tra cui anche Bruce Cockburn) che nel disco si alterna a pedal steel, lap steel e dobro con estrema ispirazione e bravura.

Il songwriting di Roger Len Smith è scorrevole, passa con tranquillità da temi di carattere universale ad argomenti più politici, senza dimenticare la sua vita personale; e il tutto contribuisce alla piacevolezza del disco. La scuola cantautorale di marca californiana anni settanta si sposa alla perfezione coi più moderni suoni “americana”.

Warren Zevon è l’autore che viene in mente ascoltando l’attacco di Leaving It All Behind, forse non un caso visto che Roger, negli anni novanta, al seguito di Cody ha suonato spesso come opening act per Zevon, ma c’è anche un po’ di Dylan nell’aria, per via del modo di suonare nell’armonica del titolare. La pedal steel e un ritmo cullante vagamente folk sono alla base di House Of Cards mentre Empty ha un giro vagamente fifties e di nuovo si può ben sentire il contributo di Rami Jaffee. Atmosfere acustiche, con tanto di dobro, stanno alla base della canzone che Roger dedica ai figli Zander e Zoey, quasi una filastrocca che proprio dai loro nomi prende il titolo; Got To Thinkin’ è invece di nuovo robusto rock, con le chitarre in tiro e un riff rollingstoniano, a dimostrazione della versatilità e della profonda conoscenza che Smith ha dell’intero panorama musicale di matrice rock. Suggestione di stampo The Band arrivano invece da Aim, soprattutto nell’uso delle chitarre, mentre la conclusiva Down At Juniors è di nuovo una riuscita canzone veloce con suono in bilico tra chitarre acustiche ed elettriche.

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/4

di admin

23 giugno 2010

ROGER LEN SMITH
Clear Blue Skies
2009 Big Rock Entertainment CD

roger len smith clear blue skies
Ecco un disco che non troverete con facilità nei negozi: Probabilmente non lo troverete affatto, perchè Roger Len Smith, in arte Raj è un piccolo grande cantautore senza distribuzione. Eppure il suo nome al pubblico italiano non dovrebbe suonare del tutto sconosciuto. Soprattutto a chi ha seguito il rock degli anni ‘90: Roger è stato almeno quattro volte nel nostro paese, al seguito di Phil Cody, in qualità di bassista, o con la propria band. Questo Clear Blue Skies è il suo quinto CD ed è un CD bello maturo, ben registrato, ben suonato, con belle canzoni e bei suoni: se avete avuto modo di ascoltare i suoi primi lavori la cosa risulta evidente, tangibile. Roger è cresciuto, e non poco: dal 2004 si è trasferito ad Austin, si è concentrato sulla propria carriera e suona regolarmente nel circuito texano, ma di tanto in tanto si sposta a suonare anche sulla west coast da dove era partito, e anche in altre località. Il CD che sto ascoltando si divide tra canzoni rilassate (che forse gli riescono meglio) e brani più rock ed è per così dire “benedetto” dalla partecipazione di qualche soggetto di non poca rilevanza, come Peter Rowan (che canta in tre brani), Victor Bissetti (dei Los Lobos) e il polistrumentista nonché produttore Kim Deschamps. Il disco si apre con l’accattivante Blue Street Signs, un brano che predispone subito bene l’ascoltatore, la successiva Batten Down The Hatches non è da meno. Tra i brani spicca il country spedito di Rhode Island Girl ben supportato dai cori di Rowan e da una bella alternanza tra banjo e dobro. Bella anche la title track da cui si evince una delle molte fonti d’ispirazione di Roger, vale a dire Tom Petty & The Heartbreakers: perché, è bene dirlo, questo ragazzone dell’Illinois deve davvero molto ai numerosi artisti che ha ascoltato nel corso della sua vita, le influenze sono molte e si fanno sentire, da Petty e Zevon fino a certe sonorità delle jam band (senza mai arrivare a brani dalla lunghezza chilometrica). Quello che fa di questo disco un bel disco è anche il senso della misura, undici brani per una quarantina di minuti, il giusto insomma. Con Amanda Always Told Me I’d Shine ci troviamo nuovamente alle prese con un bel brano country, quasi bluegrass ma senza esagerare, e ancora fa capolino la seconda voce di Peter Rowan. Tra i brani più smaccatamente rock spicca Throw Hands, dall’incedere incalzante e si fa apprezzare Don’t Wanna Be Alone Right Now che ricorda alcune cose del vecchio compagno d’avventure Cody. I dischi di Roger Len Smith sono reperibili attraverso il catalogo on line della CD Baby: http://www.cdbaby.com/Artist/RogerLenSmith.

Paolo Crazy Carnevale

ROGER LEN SMITH
New Dark Ages
2007 Big Rock Entertainment CDroger len smith new dark ages

Gran disco questo New Dark Ages, rispetto al suo successore pecca forse solo in eccessiva lunghezza, ma contiene canzoni, credetemi, che vale la pena di conoscere. Vale la pena anche che vi racconti un aneddoto riguardo a questo disco, che ho avuto modo di ascoltare nella sua interezza solo insieme al successivo, quando Roger me li ha spediti. All’epoca della sua uscita, un paio d’anni fa, ero relegato in casa a causa di una brutta caduta in bicicletta, barricato in compagnia di libri, dischi, DVD e naturalmente internet. Una mattina, controllando la posta quotidiana trovai una mail del giorno prima con cui Roger Len Smith partecipava agli amici il suo tour alle Hawaii e il broadcast di un’esibizione radiofonica col gruppo. Non ci misi molto a realizzare che grazie alle undici ore di fuso orario, il broadcasting sarebbe cominciato di lì a mezzora, perché alle Hawaii era ancora il giorno prima! Devo ammettere che è stato divertente poter ascoltare le canzoni di questo disco mentre Roger e il suo gruppo le suonavano dal vivo in uno studio di Maui. New Dark Ages si compone di sedici tracce, una delle quali (Another Dawn) ripetuta in chiave acustica a fine disco. Ad accompagnarlo in questo CD, il suo quarto, c’è uno stuolo incredibile di amici, a partire dal fido bassista Jay Ewell (che lo segue anche nei concerti) fino a quelli del suo periodo losangeleno, vale a dire Phil Cody (che suona l’armonica e canta nell’ottima If I Had A Boat), Steve Mc Cormick e Bryan Smitty Smith (entrambi nella rockeggiante Holding On To My Guitar For Dear Life scelta tra l’altro per rappresentare il disco in una compilation allegata alla storica rivista americana “Relix”). C’è poi, a fare da controcanto alla voce di Roger, la partecipazione, in diversi brani, a partire dalla travolgente apertura di You Don’t Get It, Jennifer Stills, il cui cognome dovrebbe dirvi tutto trattandosi della sorella di Chris, nonché figlia di Stephen e di Veronique Sanson. La Stills fa una bella parte anche su Holding On To My Guitar For Dear Life, lungo brano cadenzato sottolineato da un lancinante assolo di McCormick, e su Isn’t A Pity. Bio Willie Diesel è una canzone dedicata all’impegno ecologista di Willie Nelson. C’è poi l’ottima Cold Night In Lowell, e la memorabile The Best retta e sottolineata da uno struggente intervento alla pedal steel di Eric Heywood, sicuramente il miglior suonatore di questo strumento per quanto riguarda la sua generazione. Il disco si conclude in gloria con un altro gran brano, If I Had A Boat, in cui Roger divide le sorti vocali con Cody e con la versione solitaria di Another Dawn, che nulla ha da perdere se paragonata con l’altra versione, più country-folk, posta a metà disco.

Paolo Crazy Carnevale

 

crovella

BEPPE CROVELLA
Waht’s Rattlin’ On The Moon
2010 Moonjune CD

Un tributo alla musica di Mike Ratledge, nome di riferimento del progressive britannico da parte di Beppe Crovella, nome storico del progressive italico. Alla base di questo disco c’è la passione del boss della Moon June Records per i Soft Machine e per certi suoni a metà strada tra jazz e rock progressivo, passione che lo ha spinto a sfidare Crovella, tastierista con alle spalle una lunghissima militanza nel gruppo Arti & Mestieri, colonne sonore e molto altro a rivisitare le composizioni scritte da Ratledge per i Soft Machine. Il risultato è questo disco composto di tre parti ben distinte: la prima e principale è una sorta di lunga suite ottenuta da Crovella assemblando i brani originali e rileggendoli con le sue tastiere, mellotron, Wurlitzer, Hammond, Fender Rhodes, Farfisa e quant’altro. A questa prima parte composta di dieci capitoli, se ne aggiungono altre due ispirate alla composizione e alla musica di Ratledge. La prima intitolata Before The Moon, riguardante la genesi del progetto, la seconda realizzata successivamente e chiamata logicamente After The Moon, con tanto di brano ai due Soft Machine scomparsi Elton Dean e Hugh Hopper.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

COODER/LINDLEY FAMILY
Live At The Vienna Opera House
1995 www.davidlindley.com 2 CDDavid_Lindley_-_Cooder-Lindley_Family_Live_At_The_Vienna_Opera_House

Mentre la critica musicale in toto si sta adoperando ad incensare (forse in modo eccessivo) il recente disco dei Chieftains con Ry Cooder, scopro questa doppia pubblicazione ufficiale reperibile solo attraverso il sito di David Lindley. Si tratta di uno dei numerosi prodotti di Lindley che da anni ha perso ogni fiducia nei confronti dell’industria discografica e a chi vuole i suoi dischi non concede alternativa che procurarseli tramite web, a prezzo peraltro non sempre accessibile. Questo doppio realizzato dai due vecchi amici, Ry Cooder e David Lindley appunto, risale a uno dei tour effettuati con i figli al seguito, Joachim Cooder, percussionista e batterista, e Rosanne Lindley, cantante e chitarrista. Il risultato è quello che ci si può immaginare dal connubio, una serie di notevoli brani provenienti dai repertori di entrambi, con le chitarre protagoniste a 360° e i due marpioni che si divertono come i matti. Probabilmente il tipo di disco che i fan dei due vorrebbero poter trovare nei negozi, testimonianza di una serata particolarmente ispirata in cui tra slide, bajo sexto, bouzouki, mandolini e altri strumenti a corda viene rivisitato un repertorio che va dalla tradizione al moderno passando per classici immortali. Il pubblico molto compito dell’Opera House di Vienna sembra apprezzare, e vorrei vedere se fosse il contrario: il Chuck Berry di Promised Land, lo Zevon di Play It All Night Long, i classici Goodnight Irene e Vigilante Man, l’Elvis di Little Sister e All Shook Up, Merle Haggard, la colonna sonora di Paris Texas. Non manca davvero nulla in questo doppio disco, nemmeno la possibilità di far cantare qualcosa alla figlia di Lindley, che rivela di possedere una buona voce con profonde venature blues.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

GWIN SPENCER
Addicted To The Motion
2003 Good Foot Records CD
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Non credo che ci siano in giro molte donne che suonano la chitarra elettrica come Gwin Spencer. Questa brillante musicista originaria del Mississippi, ma cresciuta a Memphis, col dna giusto, dunque, ha fatto sua la lezione dei grandi artisti che hanno caratterizzato la musica di questa città, filtrando tutto attraverso la lezione di Hendrix e di alcuni chitarristi bianchi della scuola britannica. Certo, la sua carriera discografica è piuttosto sparuta ma molto valida. L’esordio avvenne negli anni ‘90 coi miracolosi Mother Station, di cui reggeva le sorti insieme alla poderosa cantante Susan Marshall (titolare poi di tre dischi da solista e di numerose collaborazioni). Poi il silenzio, per quasi dieci anni, per tornare con questa produzione indipendente: dodici tracce piene di grinta, grandi brani d’impronta rock (la title track, Take A Little Bit, Yesterday & Days Before), ballate più lente (Waht Else Could I Say e Slave), tutto caratterizzato dalla vena compositiva di Gwin, che anche nei Mother Station era autrice delle canzoni. Il disco ha forse i limiti dell’autoproduzione, ma neppure in maniera eccessiva, l’uso di alcuni sample da parte del tastierista e produttore Eddie Wohl, paiono talvolta fuori posto, o forse troppo timidi per essere considerati voluti stilisticamente, ma la chitarra e il cantato della Spencer aiutano a superare l’impatto con questi limiti. Gli interventi sulla sei corde sono sempre convincenti, mai ripetitivi e la voce non è mai scontata, pur non essendo quella della sua ex collaboratrice Susan Marshall. C’è poi un’unica cover nel disco, una cover notevole del classico di Bill Withers Ain’t No Sunshine, riproposta in modo originale e personale, senza strafare, senza far rimpiangere la versione dell’autore, e scusate se è poco. Unico rimpianto la scarsa reperibilità del disco e il fatto che risalga ormai a sette anni fa e non ci siano notizie di nuove sortite della Spencer.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

IRON KIM STYLE
Iron Kin Style
2010 Moonjune Records CDiron_kim_style[1]

Questo quintetto di Seattle (a vederli nella fotografia all’interno della copertina potrebbero essere un qualunque gruppo di quella città, con tanto di camicia a quadrettoni) a dispetto della provenienza e dell’aspetto è ben lontano dai suoni tipici della città del nord ovest Americano di fronte a Vancouver. Il loro verbo musicale è sì legato a suoni ben sperimentati, ma si tratta di quelli del jazz rock con più d’un riferimento a gente come Miles Davis, Terje Rypdal e altri. Sottolineato dalla tromba (a tratti western, come nella bella Don Quixotic, contrappuntata da un robusto suono di basso) di Bill Jones, il disco si lascia andare attraverso dieci composizioni non troppo ostiche in cui ha buona parte il chitarrista Dennis Rea, musicista dal lungo curriculum. Ma oltre alla passione per il jazz rock (beninteso suonato con modernità) questi cinque ragazzi sembrano raccogliere in parte anche il testimone di un certo modo di fare musica delle jam band (quello più legato a certe incursioni alla Garcia delle jam spaziali, come ad esempio in Adrift). Non ultimo c’è poi il riferimento alla propaganda politica nord coreana, a partire dal nome del gruppo che fin dal titolo richiama il figlio del celeste timoniere Kim Il Sung, Kim Jong Il, ritratto in un fotomontaggio insieme alla band. La copertina del disco deve il suo art work ai manifesti di propaganda e tra i titoli troviamo Mean Streets Of Pyongyang, Dreams Of Our Dear Leader e Jack Out The Kims. Da prendere in considerazione.

Paolo Crazy Carnevale

 

 

JUDAS PRIEST
Nostradamus
2009 SONY 2CD judas priest

La band si forma nel 1969 a Birmingham con il cantante Rob Halford, il bassista Ian Hill e i chitarristi Glenn Tipton e K.K. Dowing, mentre nella loro lunga e travagliata esistenza alla batteria si alterneranno vari musicisti. Grazie al loro omonimo hit single Metal Gods creeranno un particolare filone nella storia della heavy metal music. Chi ha amato il chitarrismo duro e sanguigno che ci ha dato album stupendi come Sin After Sin, prodotto dal mitico bassista dei Deep Purple Roger Glover, British Steel e Killing Machine qui troverà altri suoni, in quanto la band ci offre un concept album incredibile, un progetto ambizioso e di non facile ascolto ma che mi ha entusiasmato. Il disco è dedicato ovviamente alla figura inquietante e misteriosa di questo personaggio incredibile che ancora oggi divide la critica sulla attendibilità delle sue profezie: profeta, visionario o cialtrone? ci propone gli avvenimenti della sua vita, raccontata in prima persona. Infatti, la prima canzone Prophecy inizia con “I Am Nostradamus …”, le rivelazioni , la persecuzione, l’esilio, la solitudine, le visioni, fino alla morte, con messaggi lasciatisi ancora oggi incomprensibili. La band si presenta nella sua line up originale, con in aggiunta Scott Travis alla batteria e Don Airey alle tastiere, stupendo session man già con Colosseum, Black Sabbath, Gary Moore, Ozzy Osbourne, Whitesnake, Jethro Tull, Thin Lizzy e i Deep Purple dell’ultimo periodo a sostituire un certo Jon Lord, e scusate se è poco. Le registrazioni iniziano nel 2006 agli Old Smithy Studios di Londra, e produrranno diciotto brani che saranno rimixati nell’aprile dell’anno seguente, quando la band decise di pubblicare il lavoro come doppio CD e triplo LP. La rivista “Billboard” lo ha definito un gioiello della musica Heavy Metal Symphonic: stupendi impasti vocali, chitarre incredibili, una base ritmica ossessiva, le tastiere che ci riportano ad atmosfere dark classicheggianti. Per averne un’idea pensate ai Carmina Burana di Carl Orff, con Rob Halford, incredibile vocalist, coadiuvato da notevoli cori. Cosa consigliarvi? Ascoltatelo e basta! Brani come Prophecy, Revelations, Death e Solitude sono stupendi, con tastiere e chitarre sintetizzate che creano un suono unico. Nostradamus e Visions hanno raggiunto le classifiche dei Top Single in UK. La confezione è sontuosa con un booklet contenente testi, notizie e foto stupende. L’unico limite è la lunghezza, forse un doppio CD può essere esagerato, ma il prezzo è abbordabile.

Daniele Ghisoni

 

 

THE HONEY TONGUE DEVILS
All Tall And The Melting Moon
2005 Feedback Records CDhtdevils

Accattivanti, è questa la prima cosa che viene in mente ascoltando il primo disco (un secondo pare essere in gestazione) di questa band californiana che fa capo a M. Laurit e Bobby Joyner. Ricordo di averli sentiti la prima volta attraverso internet, incuriosito dal fatto che a produrli fosse Jonny Kaplan, altro notevole personaggio, transitato qualche anno fa anche nel nostro paese. Al di là delle indiscutibili doti del gruppo, va detto che la produzione di Kaplan fa la sua buona e bella parte nella riuscita di questo disco, perennemente in bilico tra suoni delicati e nervosa elettricità. Al pari del suo produttore, il gruppo si incanala decisamente nel filone rock /americana (anche se odio abbastanza queste etichettature) con le lezioni del cosmic country ben fissate in testa e filtrate attraverso altre stimolanti esperienze. La partenza è di quelle che entrano in testa subito: Down Here e Days Behind hanno la marcia giusta per farsi ascoltare e trascinare l’intero CD. Ma quando crediamo di aver capito da che parte i diavoli dalla lingua mielosa vadano a parare, i suoni mutano ed entrano le chitarre acustiche, contrappuntate dalle tastiere di Skip Edwards (ospite di lusso al pari di Doug Pettibone): Low Down Wind conquista e ancor meglio fa Grey Day, in cui le parti vocali vengono divise da Joyner col producer, la cui voce inconfondibile caratterizza il brano. Se Sunday Morning Blackout e Beautiful Mess sono intrise di suoni più duri, con tanto di richiami palesemente hard rock, la title track profuma di psichedelica all’inglese. Per riportare poi tutto a casa con la finale e intimista My Divine, a due voci con l’organo a fare da tappeto alle chitarre. Non credo che questo disco sia reperibile nei negozi, ma attraverso il web non faticherete a procurarvene una copia, merita davvero lo sforzo…

Paolo Crazy Carnevale

 

 

TOM PETTY & THE HEARTBREAKERS
The Live Anthology
2009 Reprise 4CDtom petty

Lo ammetto, quando lo scorso autunno ha cominciato a girare la notizia di questo box, sono stato assalito da un sacco di perplessità: Tom Petty negli ultimi anni non ha certo lesinato quanto a pubblicazioni dal vivo (se pur sempre in formato DVD). Inoltre pur essendo nota la bontà live del suo gruppo (testimoniata da bei bootleg e dal ricordo della sua unica toccata e fuga italiana al seguito di Dylan nel 1987) l’unico live ufficiale sfornato dal rocker di Gainesville era al di sotto delle aspettative. Alla fine mi sono fatto convincere dal mio amico Bobbi (un pettyano sfegatato) e anche alla luce del buon prezzo (usato su Amazon, un vero affare!) mi sono procurato il box nella sua edizione più spartana, quella con quattro dischetti, per quasi quattro ore di ottima musica, suonata con bravura quasi unica. Già, la versione più spartana, perché ne esiste una deluxe, che costa tre o quattro volte tanto, quelle cose fatte apposta dalle case discografiche per succhiare ancor più soldi a noi pochi acquirenti superstiti. Mi sono rifiutato di cadere in questo tranello! Ma veniamo al box. Soldi ben spesi, come si suol dire. I quattro dischi dal vivo sono davvero la summa della carriera discografica degli Heartbreakers, che si dimostrano una volta per tutte una delle migliori band americane di tutti i tempi. Quarantotto canzoni suddivise un po’ per tutti i periodi, prese da concerti differenti (alla faccia dei puristi che vanno in cerca del concerto completo), con una manciata di cover di levatura, spartano booklet, come la confezione vintage, con tutto quello che c’è da sapere (date, luoghi e nomi). Come ha detto il mio amico Bobbi: “Adesso credo che non comprerò altro di Tom Petty” (io però so che ci cascherà e prenderà anche l’imminente disco di studio). Ma questo box è davvero ciò che bisogna avere di Tom Petty, perché ci sono tutte le canzoni che ci si aspetta di trovare, perché la vera dimensione di Petty e del suo gruppo è quella dal vivo e qui tutto viene confermato. Da American Girl a It’s good To Be King, da Southern Accents a The Waiting, passando per Mary Jane’s Last Dance, Spike, Refugee, Wildflowers, la sempreverde Breakdown. Persino l’odiosa Learning To Fly nella versione dal vivo esce affascinante. E qua e là omaggi sparsi a Booker T, Grateful Dead, ai film di 007, Fleetwood Mac, Bo Diddley e altri padri ispiratori. Nel bonus CD si celebrano anche i Byrds, ma attenzione, la Billy The Kid, ivi contenuta, è il brano composto da Petty per il suo Echoes, e non, come qualche poco avveduto recensore nazionale ha scritto, probabilmente senza aver ascoltato il disco(!), quella di Bob Dylan (che per altro si intitola semplicemente Billy). Lasciatevi conquistare e affascinare da questo box. Ne vale davvero la pena.

Paolo Crazy Carnevale

 

URIAH HEEP
Future Echoes Of The Past
2001 Phantom/Classic Rock Legenda 2CD uriahfuture_cov

Quando si parla di gruppi di hard rock classico, gli Uriah Heep vengono sempre trattati qui in Italia come band di secondo piano. Ed è un’ingiustizia, perché l’ensemble di Mick Box, storico chitarrista nella band fin dagli esordi, è tutt’altro che una seconda scelta, e dal debutto Very ‘Eavy … Very Umble che risale ormai a quarant’anni fa agli ultimi Wake The Sleeper del 2008 e Celebration dell’anno successivo, hanno dispensato varie perle degne di essere riscoperte. Questo Future Echoes Of The Past, doppio live del 2001, è testimonianza del tour in Germania, nazione in cui i nostri hanno sempre goduto di largo seguito, di fine 1999, con registrazioni prese dalle date del 29 e 30 novembre ad Aschaffenburg e Monaco di Baviera. La formazione è quella classica degli ultimi anni della band con Mick Box alla chitarra, il batterista storico Lee Kerslake (ora non più nel gruppo per motivi di salute e sostituito da Russell Gilbrook), il bravissimo bassista Trevor Bolder, forse uno dei più sottovalutati nella storia dell’hard rock, nel gruppo dal 1976 con una pausa fra il 1980 ed il 1983 in cui alla quattro corde c’era Bob Daisley ed il tastierista Phil Lanzon ed il cantante Bernie Shaw entrati nel 1986. La scaletta è un giusto ed equilibrato mix fra pezzi storici e altri più nuovi, e fra questi la parte del leone, come ovvio, la fanno quelli tratti da quello che all’epoca era l’ultimo lavoro in studio del gruppo, il valido Sonic Origami del 1998. Brani come le iniziali e trascinanti Between Two Worlds e I Hear Voices, la ballata Question, le ariose Heartless Land e Shelter Fron The Rain non sfigurano affatto davanti ai classici del passato e mettono in luce una band ancora in forma e con molte cose da dire. Classici che peraltro portano titoli come July Morning e Look At Yourself (con un Phil Lanzon in gran spolvero che in un paio di passaggi mi porta alla mente, ma forse ho alzato un po’ il gomito, un brano di Joe Jackson, che con gli Heep non c’azzecca nulla) del 1971, l’immancabile Gypsy, Easy Livin’ tratta da quel Demons And Wizards che può essere considerato il loro capolavoro, o Sweet Freedom dall’album omonimo del 1973, o quella meraviglia di dolcezza che porta il titolo di Rain tratta da The Magician’s Birthday. A chiudere il tutto due gioielli degli esordi. Da Salisbury ecco Lady In Black, che inizia acustica e ha un crescendo da brividi con un immenso Trevor Bolder al basso e, bonus track registrata al sound check del concerto di Monaco, una versione molto intensa e sentita di Come Away Melinda dritta dal loro esordio . Riscopriamo gli Uriah Heep, magari partendo proprio da questo ottimo doppio dal vivo, le soddisfazioni sono garantite.