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THE MAGPIE SALUTE – High Water II

di Paolo Crazy Carnevale

25 febbraio 2020

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The Magpie Salute – High Water II (Provogue/Mascot 2019)

Avranno un futuro i Magpie Salute? La domanda è legittima visto che in contemporanea con l’uscita di questo disco del gruppo di Rich Robinson ne è uscito uno del gruppo di suo fratello, la Chris Robinson Brotherhood, di cui a ruota si è suicidato il chitarrista Neal Casal lasciando quella formazione priva di un elemento fondamentale. Cosa c’entra tutto questo con i Magpie Salute, apparentemente nulla, non fosse altro che nelle due band oltre ai fratelli Robinson ci sono altri membri dei Black Crowes, la band che i due litigiosi (come quasi tutti i fratelli del rock, su tutti i Davies e i Gallagher) avevano fondato a fine anni ottanta e che le due band tutto sommato, pur differenti hanno in buona parte raccolto l’eredità sonora dei corvi, più southern i Magpie Salute, più jam la CRB.

Allora perché non smettere di litigare e stare invece tutti insieme come ai vecchi tempi? Detto fatto. Con due dischi delle rispettive band appena usciti ed un chitarrista insostituibile defunto, i due Robinson si sono rimessi in gioco ed hanno rispolverato la vecchia denominazione per un tour che dopo una data di riscaldamento in duo a febbraio li porterà in giro per gli States da aprile a luglio.

Capirete quindi che la domanda iniziale sul futuro dei Magpie Salute è tutt’altro che illegittima.

Personalmente ero rimasto favorevolmente impressionato dal loro disco d’esordio nel 2017, un bel doppio vinile molto in odor di anni settanta, con una manciata di cover tutt’altro che scontate e alcuni brani originali decisamente convincenti che sembravano voler partire da dove i Black Crowes si erano interrotti .

Un anno dopo, perse per strada le coriste (che non ci stavano male), è uscito High Water, il primo, e devo dire che è stato una delusione perché non ci ho ritrovato l’energia e la spontaneità che mi avevano fatto applaudire l’esordio.
Ora arriva il secondo High Water, sempre su due vinili (o un CD se proprio non avete più il giradischi), e il gruppo sembra aver recuperato abbondantemente i punti persi in precedenza.

È rock sudista quello dei Magpie Salute, genuino e sincero, con tanti rimandi, dagli ovvi Black Crowes fino a Tom Petty, passando anche per quelle formazioni britanniche come i Faces e i Rolling Stones di Exile On Main Street.

La prima facciata del disco è un po’ qualunque, tre brani ben infilati ma non da brividi, con la voce del cantante John Hogg che ricorda da vicino quella di Chris Robinson, le chitarre di Marc Ford e Rich Robinson che sono quelle dei miei Black Crowes preferiti (salvo la breve ed eccezionale parentesi con Luther Dickinson), le tastiere di Matt Slocum che si ritagliano spazio costituendo uno dei punti di forza del gruppo.

La seconda facciata è invece da “giù il cappello”! Sensazionale il brano d’inizio, In Here, solida composizione che ha nel DNA qualcosa degli Heartbreakers e che i fiati di Matt Holland contribuiscono a rendere perfetta, come perfette sono quelle che seguono, la splendida You And I dall’intro acustica e dallo sviluppo in chiave Faces. Poi l’incalzante Mother Storm mette sul piatto una miscela di suoni fantastici, Rich tiene il tempo con l’acustica mentre Ford lavora di elettrica e Slocum intesse preziose trame d’organo, salvo poi infilare, nel finale, una bella conclusione pianistica molto intima.

Bella anche A Mirror, la canzone dal ritornello orecchiabile che inaugura il lato tre, Slocum qui fa volare le dita sul piano, come se si trattasse di un disco dei Rolling Stones con Nicky Hopkins, mentre Ford fa un gran lavoro di slide. Lost Boy sposta la mira verso sonorità più rilassate, canta Rich qui e gli fa il controcanto nientemeno che Alison Krauss, impegnata anche al violino: si tratta di una ballata quasi acustica che deve qualcosa al Tom Petty solista.

Poi il sound s’irrobustisce e Turn It Around, è un brano molto pestato, robusto, batteria (Joe Magistro) incalzante mentre il muro di chitarre elettriche si fa tostissimo.

Meno bella la canzone dalle sonorità orientali posta in apertura della quarta facciata, Life Is A Landslide; Doesn’t Really Matter ha un’introduzione che sembra un omaggio ai padri del blues, poi però il brano si assesta su sonorità che ricordano maggiormente i vecchi Black Crowes, e il fatto che Hogg canti come Chris Robinson va ad assodare questa sensazione, ma il brano riserva una sorpresa, nel bel mezzo il ritmo rallenta, e il break strumentale conferisce alla composizione il sapore delle jam southern rock, molto presenti anche nel solo di chitarra finale.

La conclusione è affidata a Where Is This Place, composizione bella e lenta, col piano impegnato a dialogare con la chitarra elettrica e notevoli contrappunti di basso (l’ex corvo nero Sven Pipien) e tamburi.

Bel disco dunque, ma avrà mai un seguito?

THE MAGPIE SALUTE – The Magpie Salute

di Paolo Crazy Carnevale

28 aprile 2018

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THE MAGPIE SALUTE – The Magpie Salute (Eagle Rock/Cargo Records 2017)

Sarà anche pura nostalgia di un sound lontano e in parte perduto, ma questo doppio vinile d’esordio dei Magpie Salute, è uno dei migliori dischi che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi – rimanendo nel campo delle novità, senza andare a rimestare nello sguazzamento delle ristampe o del materiale d’archivio portato alla luce.

Che i fratelli Robinson, in seno ai Black Crowes o sotto altre vesti, fossero i più accreditati eredi e diffusori delle sonorità dei primi anni settanta non è certo una novità, come non è una novità che siano anche bravi a riproporre il buon classic rock senza risultare per questo datati. La bella novità è che dopo i buoni dischi della Chris Robinson Brotherhood, pare che anche Rich abbia trovato la formazione con cui continuare a diffondere il verbo.

Dirò di più, questi Magpie Salute mi piacciono forse più del gruppo dell’altro fratello Robinson, senza volergli togliere nulla: la band di Rich mi sembra più compatta, più diretta, concreta, ma in sostanza si tratta solo di differenti sfumature ottenute con gli stessi pastelli.

Anche Rich, per mettere insieme la sua numerosa compagine di accompagnatori ha ripescato nelle formazioni dei Black Crowes e con lui ci sono Marc Ford, Sven Pipen e Eddie Harsch , oltre ad altri amici, incluse un paio di coriste che danno una bella mano a sfoderare un robusto risultato che affonda le radici nel rock più tipico, un po’ sudista, un po’ hard: il tutto senza risultare datato.

Il disco, inciso dal vivo in quel di Woodstock, nel corso delle classiche session organizzate da Michael Birnbaum e Chris Bitner, può contare sulla ripresa di alcuni brani provenienti dal passato, sia cover d’autore che repertorio dei Black Crowes più amati.

Insomma è difficile sbagliare il colpo quando si hanno in scaletta canzoni come Comin’ Home, dal repertorio di Delaney & Bonnie (and Friends with Eric Clapton), Glad And Sorry di Ronnie Lane, Time Will Tell di Bob Marley.

Rich si divide le parti vocali con John Hogg e quelle chitarristiche con Ford e con Nico Bereciartua: si comincia con il brano originale Omission, tanto per far capire all’ascoltatore da che parte si vada a parare, poi è già leggenda col suddetto brano firmato dai Bramlett con Clapton, con un bell’arrangiamento molto solido, più in odor di Humble Pie e Small Faces rispetto all’errenbì originale, ma è proprio quanto ci si potesse aspettare da una formazione guidata da Rich, che è autore dell’apprezzabile What is Time con cui si chiude la prima facciata del doppio.

Il lato B si apre con una notevole ripresa di Wiser Time, cavallo di battaglia dei Black Crowes a cui il trattamento Magpie Salute giova totalmente, grazie anche ad un arrangiamento che lascia spazio ad improvvisazioni meno divaganti rispetto a quelle a cui ci ha abituato l’altro Robinson con la sua Brotherhood: gran lavoro di Ford ma anche delle doppie tastiere di Slocum e Harsch. Nove minuti di cavalcata sonora di grande efficacia, al pari della successiva Goin’ Down South, entusiasmante brano strumentale composto da Joe Sample e ripreso anche da Crusaders e da Bobby Hutcherson, che fu il primo ad inciderlo. La versione è notevole anche in questo caso, a riprova di quanto bene funzioni il gruppo. Il secondo dei due vinili parte alla grandissima con un ripescaggio eccellente dal repertorio dei War, un brano che i Magpie Salute affrontano con grande efficacia triplicandone la durata rispetto alla durata dell’originale: War Drums nella rilettura di Robinson, Ford e soci diventa una brillante cavalcata sudista che non può richiamare alla mente quelle ordite da Dickey Betts per i suoi grandi brani strumentali incisi in seno all’Allman Bothers Band, le chitarre sono fluidissime, la ritmica incalzante e l’esecuzione si candida subito come una delle cose migliori di questo doppio album che procede con in sette minuti di Ain’t No More Cane, passando così dal southern rock ad un suono più di frontiera e tradizionale. Il rimando è ovviamente al The Band che il brano l’aveva inciso per il doppio dylaniano The Basement Tapes, ma l’esecuzione dei Magpie Salute ci mette del proprio così che anche stavolta, trattandosi di un disco prevalentemente di cover, quello che emerge è la compattezza sonora di una formazione che pur non sapendo dove andrà a finire ha dei punti di partenza alquanto solidi. Da applausi le tastiere totalmente in odor di Garth Hudson, i passaggi delle chitarre nella parte centrale e la coda pianistica.
Il lato quattro porta il disco verso il gran finale e naturalmente lo fa alla grande con un ripescaggio della pinkfloydiana Fearless (stava su Meddle): l’approccio è ottimo, il brano è cantato con orecchio rivolto all’originale ma l’arrangiamento porta sonorità slide meno usuali nella musica della band inglese. Sempre inglese il brano successivo, stavolta firmato da Ronnie Lane (la menzionata Glad And Sorry) e coniugato ancora una volta a sonorità southern con un gran basso a tessere insospettabili linee melodiche.

Ultima composizione del disco è Time Will Tell che i Black Crowes avevano già ripreso nel loro secondo disco, la versione che Rich ordisce insieme ai Magpie Salute è più lunga, più corale, tutto il gruppo vi prende parte e la matrice reggae è più evidente che nella versione dei Corvi: anche qui le tastiere costruiscono un background ideale mentre la ritmica sembra emulare il rollare di un battello all’ormeggio, finalmente si sentono adeguatamente anche le coriste e il gruppo sembra davvero appagato da questa sua fatica.

Certo, rimane da vedere come saranno questi ragazzi se si cimenteranno con un disco di nuovo materiale autografo, ma le premesse per sperare bene ci sono tutte.