LUCA CALABRESE – I Shin Den Shin
di Paolo Crazy Carnevale
26 dicembre 2024
LUCA CALABRESE – I Shin Den Shin (Moonjune Records 2024)
Nonostante la lunga gavetta e le numerose esperienze del titolare nell’ambito della musica che conta, questo suo lavoro per la Moonjune Records non riesce davvero a convincere.
Calabrese, il cui approccio alla musica risale addirittura agli anni Settanta, dapprima in formazioni bandistiche della zona del Piemonte di cui è originario, poi frequentando il conservatorio, ha maturato esperienza suonando con big band mainstream che lavoravano in ambito televisivo.
Di pari passo ha però coltivato una passione per il jazz e l’improvvisazione, venendo a mano a mano in contatto con musicisti importanti con cui ha calcato plachi e frequentato sale d’incisione, parliamo di Keith Tippett, Peter Hammill, Pat Mastellotto, Cecil Taylor, Richard Barbieri.
Proprio con Barbieri (Japan, Porcupine Tree) e con l’ensemble svedese Isildurs Bane ha avuto modo di lavorare molto negli ultimi anni: col gruppo svedese ha messo in cantiere dischi che hanno coinvolto anche Steve Hogarth (Marillion) e Peter Hammill (Van Der Graaf Generator).
Per questo suo lavoro solista, Calabrese si è affidato alla produzione e alla direzione artistica del sopravvalutato Markus Reuter, coniugatore di sound elettronici e paesaggi sonori, sempre molto noiosi e ripetitivi, molto ambient e sterili. D’altronde uno che in venticinque anni se ne esce con quasi novanta dischi – tra quelli condivisi e quelli a proprio nome – è un genio o è uno che si ripete. E Reuter non è un genio.
L’ascolto del disco, come quello di altre produzioni su cui Reuter mette mano, è un po’ come la visione di un film in cui non accade mai nulla: peccato, perché l’elettronica ammazza il suono della piccola tromba suonata da Calabrese (a tratti sulle orme di Mark Isham) e soprattutto sopraffà le chitarre elettriche di Mark Wingfield e del vietnamita Nguyen Le.
Dalla noia quasi assoluta si salvano alcuni momenti dei brani A New Reality e Heart To Heart, il cui titolo è un po’ la traduzione del titolo giapponese dato all’intero album (uscito sia in CD che in vinile), le cui radici stanno nel confucianesimo e nel buddhismo, e nei concetti di empatia e sentimenti condivisi. Peccato, perché in questo disco di empatico sembra non esserci nulla.
Paolo Crazy Carnevale