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JIM STANARD – Color Outside The Lines

di Paolo Baiotti

6 febbraio 2021

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JIM STANARD
COLOR OUTSIDE THE LINES
Autoprodotto 2020

Ormai non sorprende vedere in copertina artisti in età avanzata; il rock e il folk sono invecchiati più o meno bene, ma sicuramente una parte rilevante dei musicisti che seguiamo è invecchiata con noi, continuando a incidere e a suonare dal vivo (almeno quando la pandemia non lo impedisce). Ma il caso il Jim Stanard è diverso: “ho suonato molta musica negli anni sessanta e nei primi anni settanta, da solo nelle caffetterie dei college per una quindicina d’anni. Poi sono stato impegnato in altri ambiti e ho smesso di suonare, pur non abbandonando la passione per la musica. Ho continuato ad ascoltare, a conoscere e ad assorbire, così quando si tratta di comporre non mi manca l’ispirazione”. Dopo una carriera di successo nel mondo della finanza, Jim è tornato alla musica e ha inciso nel 2018 il suo primo disco, Bucket List. Aiutato e spronato da Kip Winger (ex bassista di Alice Cooper e dei Winger, poi solista e produttore), supportato anche da un nome prestigioso in ambito folk, quello di Peter Yarrow, uno dei fondatori del trio Peter, Paul And Mary che partecipa al nuovo album con la figlia Bethany, Jim si è creato una seconda vita e ha già dimostrato di potersi affiancare senza timore ad artisti con maggiore esperienza in campo musicale. Le sue canzoni hanno indubbiamente una base cantautorale folk, con venature country più accentuate in questo secondo album inciso a Nashville in cui si sente parecchio l’apporto di Wanda Vick al violino, dobro e mandolino e di Jeff Taylor alla fisarmonica, ai quali si contrappone la chitarra di Jon Skibic (The Afghan Whigs), che affianca la sezione ritmica formata da Kip Winger al basso e Scott Trammell alla batteria.
L’artista non si allontana dagli schemi classici del cantautore folk, non osa molto e questo è un suo limite. Il disco è suonato e arrangiato con cura, forse troppa…qualche spigolo in più gli gioverebbe! Stanard è dotato di una voce autentica e solida ed ha capacità narrative più che discrete, ma ci vorrebbe qualcosa in più per emergere. Tracce come Home e Arkansas, alle quali partecipano Peter e Bethany Yarrow contribuendo alla riuscita delle complesse armonie vocali, la ballata Same River che ricorda il suono di Mark Knopfler da solista, lo scanzonato up-tempo country Witness Protection e l’ironic Fake News dimostrano le qualità di Stanard che, tuttavia, in altri momenti come One Time In A Row o When My Truck sembra limitarsi ad eseguire un compitino corretto, ma privo di mordente.

JIM STANARD – Bucket List

di Paolo Baiotti

24 febbraio 2019

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JIM STANARD
BUCKET LIST
Manatee Records 2017

A volte la Jstrada per incidere il disco d’esordio è piuttosto tortuosa. La storia di Jim Stanard avvalora questa affermazione. Cresciuto nella zona di Bryn Mawr in Pennsylvania frequentando il leggendario Main Point negli anni sessanta, dove ha ascoltato Tom Rush, Doc Watson e Bruce Springsteen, ha assistito al festival di Woodstock nel ’69 cercando di farsi strada nell’ambiente fino a quando, intorno ai 25 anni, ha dovuto fare una scelta. Ha smesso di suonare, dedicandosi al mondo della finanza e delle assicurazioni, dove ha avuto molto successo ottenendo posizioni di primo piano. Agli inizi del nuovo millennio, avvicinandosi la fine della carriera lavorativa, la moglie lo ha incoraggiato a coltivare nuovamente la passione giovanile; Jim l’ha ascoltata, ha preso lezioni di chitarra da Jon Skibic (già con The Afgan Whigs e Fountains Of Wayne) e vocali da Kip Winger (già con Alice Cooper e poi leader dei Winger, metallari molto popolari alla fine degli anni ottanta), ha iniziato a comporre e a cantare con convinzione, incidendo e producendo Bucket List a Nashville, con l’aiuto di Winger al basso e di Skibic alla chitarra, oltre a Scott Trammell alla batteria, Mike Rojas alle tastiere e Bobby Terry al banjo.
Bucket List è un disco di folk-roots venato di country, giocato prevalentemente su ritmi lenti e medi, ponendo attenzione principalmente ai toni melodici, adatti alla voce educata, gradevole, ma poco caratteristica di Stanard. I testi alternano osservazioni generali sulla politica e sulla società come nell’intensa ballata western Dogs Of War, forse la traccia più incisiva, nel roots-rock Can’t Happen Here e nel conclusivo rock and roll di It’s All Turtles a riflessioni più personali sulla vita e sulle relazioni come nella ballata country Meant To Say e nell’up-tempo Hard To Please, mentre l’elettroacustica Sparks, Nevada ricorda i Dire Straits più morbidi.
Jim si è tolto lo sfizio di incidere un disco che non resterà nella storia, come altri anche di musicisti molto più esperti, prodotto con cura e suonato senza strafare.