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Addio a James Varda

di Francesco Caltagirone

7 ottobre 2015

Il 12 giugno 2015, ma l’ho scoperto solo qualche giorno fa, dopo una lunga malattia, nella sua abitazione di Sheringham, Norfolk, ci ha lasciato James Varda.

A noi restano i suoi meravigliosi dischi, testimonianza di un artista sublime e puro.

A me, il ricordo di un insostituibile e prezioso amico.

JAMES VARDA – Chance And Time

di Francesco Caltagirone

20 febbraio 2015

varda

JAMES VARDA
Chance and Time
Small Things

A breve distanza dall’ultimo album di cui si è ampiamente scritto sulla rivista, James Varda, quasi inaspettatamente, pubblica un’altra luminosa opera, bruciando le tappe, a dispetto di una produzione precedente parca e rallentata. Perché, “ognuno” come scrisse il grande Allan Taylor “marcia al ritmo del proprio tamburo.” In un lavoro che si poteva prevedere ai livelli abituali del suo prestigioso autore, sono i testi ciò che mi ha scavato di più, nella pacifica, rapita visione del mondo e delle creature che lo abitano, nello stupore dell’alternarsi delle stagioni, del giorno e della notte, della contemplazione estatica, nello scontro inesausto fra dolore e gioia. James è una persona a cui interessa, sopra ogni altra cosa, che la sua musica sia conosciuta e propagata. E nel microcosmo dei singer-songwriters ciò non è sempre così facile.

Ci sono versi nelle sue liriche che tutto sembrano tranne che gettati a caso, semplici e spontanei, sempre rivelatori. Le canzoni di James emanano energia positiva, abbracciano la sorpresa e l’innocenza del creato. Di fronte a tanta solidità umana, tutto acquista un valore relativo, anche la sofferenza, l’esclusione, la caducità. “La vita è un viaggio verso un posto” che sarà e deve essere come noi lo sogniamo. Il testo di One Thing After Another mi ha particolarmente toccato. “Mi sono ammalato e mentre gli amici si sono persi i campi sono stati arati…”. Si va avanti sempre, proprio come “i gabbiani che ricostruiscono i nidi dopo la tempesta”. La certezza, è che “ci riuniremo nella luce”. La lettura di The Doctor Spoke asciuga le parole, lascia interdetti. L’amore, tuttavia, è più forte delle sentenze. Anche quando nulla può essere fatto e ci scopriamo spesso foglie nel vento, sospese ai capricci della natura, in realtà ignari di ogni nostro, pur minimo destino. Perchè si è meteore come lo si è, ma non si passa invano e si lascia un segno, una traccia, una scia lucente, suoni. Gli artisti sono fra i prediletti e il loro cielo brilla per sempre, anche come scriveva De André, in pieno giorno.

La musica di James Varda mi ha sempre mandato in estasi. I suoi giri sulla chitarra, sull’onda dei grandi cantori britannici, da Drake ad Harper, da Jansch a Martyn, e quanti altri, sono ammalianti, corrosivi nella loro innata dolcezza. Che luce devi avere nel cuore per comporre così? Ballate meravigliose, per quanto ci sia un’ombra che le sovrasti; ma essa è destinata a dissolversi, a sciogliersi nel sole. Ci sono altri musicisti che impreziosiscono le canzoni di James: Fliss Jones, arpa, piano e accordion, vera co-protagonista musicale, i cui apporti sublimano la felice vena compositiva di James, Mick Hatton, double-bass, Bugs on drums, Nick Harper, degno figlio di cotanto padre, con la sua chitarra in un pezzo, Andrew Hopper al violoncello, Johanna Herron e Sophia-Pardy Moore, backing vocals. Giri di chitarra così affascinanti nella loro lunare scabrezza. Non ci sono mai note di troppo e ognuna penetra in profondità. Un’opera così felice non può non essere sfogliata nelle sue parti. Un prezioso arpeggio ci introduce, una voce sospesa, ci avvicinano all’iniziale It’s Not Quite Too Late, progressioni armoniche avvincenti, con la stella di Nick che sorride dall’alto. Con una linea di accordi più sincopati, May This Moment Ever Glow, contrappuntata dall’arpa, dal canto di Sophia e dallo struggente ingresso della fisarmonica, mantiene alto il livello di guardia. Dopo aver letto il testo, ascolti con ansia The Doctor Spoke, una delle più desolate canzoni mai sentite. Only love. Giusto dire che non conta nient’altro in questa sofferente plaga. Possano tutte le lacrime trasformarsi in una gioia infinita, dolce amico, in un balsamo ristoratore e definitivo. Accordature aperte, fantastiche “open strings”.

L’accompagnamento dell’acustica è un tarlo roditore. Mi è venuto in mente quel non così conosciuto artista che è Michael Smith, quello di The Dutchman. Chissà se James lo conosce. Le influenze sono spesso casuali. E’ solo parlare una lingua simile. Accogliere la musica che tutti sappiamo nascosta in recessi, in riposti forzieri non sempre accessibili e tradurla nel modo migliore. Qui, sono bellissimi gli interventi al pianoforte. Il tenace riff di Let My Place ci consegna una canzone indimenticabile. Un miracolo musicale come tutta l’arte di James Varda che vorrei alla portata di chiunque. Con Nick Harper, la serena constatazione che la vita tutta è solo One Thing After Another, distesa e quieta. Siamo emotivamente travolti dal fitto giro di Pass It On, neve che si attacca al terreno e rimane lì. Malinconica, segreta, intima, fluita dal sangue, picchia duro. Arriva quasi da lontano, la più rilassata We Won’t Dream, con la chitarra appena battuta. Di uno dei più grandi balladeer di Inghilterra, io vorrei idealmente un posto non lontano dal suo. Quando il sole lumeggia dietro le montagne e ci promette una giornata serena, quando la tenera luna ci protegge nella sua notte, quando gli uccelli del bosco cantano solo per noi, possa questo attimo splendere per sempre.