Posts Tagged ‘Doug Schmude’

DOUG SCHMUDE – Mileposts

di Paolo Baiotti

27 giugno 2021

doug-schmude-1-576x600-1

DOUG SCHMUDE
MILEPOSTS
Lost Hubcap 2020

Ci occupiamo di un altro Ep, quello di Doug Schmude, cantautore nato a Baton Rouge in Louisiana, cresciuto tra Texas e Oklahoma e attualmente residente in California. Abbiamo già recensito in questo sito nel 2019 Burn These Pages, il quarto disco solista inciso dopo A New Century del 2013, All These Avenues e Ghost Of The Main Drag. In precedenza Doug aveva fatto parte del duo di blues acustico Hot Foot Delta.
Mileposts è stato inciso nello studio The Old Mill in California quasi in solitudine, con l’aiuto in quattro brani di Brandon Allen alla batteria e sporadici interventi di altri musicisti. Doug ha suonato chitarre, dobro, mandolino, organo, piano e basso oltre a cantare.
Le sette tracce si muovono tra cantautorato folk e Americana con influenze country e blues. Mileposts In The Rear View, composta durante un lungo viaggio, apre il dischetto con una chitarra twangy e un ritmo coinvolgente, seguita dalla scorrevole e rilassata The Ballad Of Early, che si avvale della fisarmonica di Gee Rabe, accompagnata da un divertente video animato e dalla ballata All The Lines On My Face. A World Without John Prine è uno dei brani migliori: un omaggio semplice e dolente al grande cantautore con inseriti nel testo titoli delle sue canzoni. Anche Old Crow si muove in ambito folk, rinvigorita dal violino di George Mason. Ci spostiamo su terreni più ritmati con la divertente e vivace Feels Like Texas, un blues da roadhouse cantato con voce appena sporcata, con Boris Bengin all’armonica e El Kabong al basso, mentre per la chiusura Doug propone il folk-rock Maybe I Just Won’t Go Home Tonight con un robusto assolo di chitarra.
Dischetto piacevole che non propone novità particolare e forse manca della necessaria intensità, MIleposts è un’uscita interlocutoria in attesa del nuovo progetto di Schmude, il trio di Americana Nine Volt Moon formato da qualche mese.

Paolo Baiotti

DOUG SCHMUDE – Burn These Pages

di Paolo Baiotti

21 febbraio 2019

BurnThesePages[1118]

DOUG SCHMUDE
BURN THESE PAGES
Lost Hubcap 2018

Nato a Baton Rouge in Louisiana, cresciuto in Texas e Oklahoma, Doug ha vissuto in otto stati diversi. Ha iniziato a scrivere e a suonare dal vivo in Colorado a Boulder negli anni novanta, poi si è trasferito a Nashville dove ha formato un duo di blues acustico, Hot Foot Delta che ha riscosso notevoli apprezzamenti in Tennessee testimoniando la sua passione per il Delta Blues. Attualmente risiede nel sud della California, dove suona prevalentemente da solo alternando brani storici di blues alle sue composizioni, che formano la base dei quattro dischi che ha inciso, a partire da A New Century del 2003, seguito da All These Avenues del 2014 e Ghost Of The Main Drag del 2017, fino a Burn These Pages, autoprodotto l’anno scorso e registrato a Irvine negli Old Mill Studios. Doug ha fatto quasi tutto da solo: ha composto i brani dell’album, eccetto una cover, canta, suona chitarra, basso e talvolta anche batteria e tastiere. L’up-tempo melodico di Setting Fires On The Moon interpretato con voce morbida e arrangiato con gusto apre il disco, che prosegue con la ballata confidenziale Just The Night, nulla di speciale, e con la ritmata Crescent City Home in cui si apprezza una slide incisiva. Nella parte centrale trovano spazio i brani migliori: la border-song El Tren de la Muerte, ispirata dal libro The Beast del giornalista di El Salvador Oscar Martinez che racconta la storia della rotta migratoria che dal Centro America attraversa il Messico fino al confine con gli Usa con accenti western che potrebbero appartenere a Tom Russell o Dave Alvin, il brioso folk Silas James, racconto sull’immaginario proprietario di un negozio di dischi che usa la musica per aiutare i suoi clienti e Worry Stone, brano intimo e riflessivo con il violino di Georgiana Hennessy e un cameo vocale della cantautrice Carter Sampson. La seconda parte del disco è più grintosa con la ritmata The Light, il robusto rock di Salt e il roots-rock Enough Rope, cover di Chris Knight che si alternano alla sofferta My Daddy’s Musket, ispirata dalla storia di una donna della Carolina del Nord che riceve ancora una pensione legata alla Guerra Civile in cui il padre aveva combattuto per entrambe le parti, circostanza che la costringe a sopportare insulti da sudisti che la considerano una traditrice e all’accorata ballata Burn These Pages, che chiude un album di discreto livello.