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DAVID HAYES – In Stereo!

di Paolo Crazy Carnevale

14 gennaio 2018

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DAVID HAYES – In Stereo! (2012)

A David Hayes piace riprendere in mano le proprie canzoni, rivestirle, rivederle, ricantarle. Su questo disco pubblicato in autonomia qualche anno fa ci sono due brani che ha recentemente riproposto in chiave totalmente acustica nel suo recente CD in collaborazione con Gene Parsons. Uno dei due era già apparso su un altro disco solista uscito nel 2007, si tratta di The Colorado, che è poi anche il brano con cui si apre questo disco dal curioso titolo.

E, se proprio devo dirla tutta, questa lunga versione di quasi otto minuti è probabilmente la più bella, e oltretutto ci dà l’idea di quale sia il mood di In Stereo!, un mood profondamente legato alla musica del più famoso dei solisti per cui Hayes ha lavorato nella sua lunga e blasonata carriera. Mi riferisco a Van Morrison: tutto in questo disco è pervaso dall’humus morrisoniano, Hayes registra e produce il suo disco come se si trattasse di uno dei capolavori del suo antico mentore, probabilmente non è un caso, il disco è stato pensato e registrato nel paio d’anni successivi al tour di Van Morrison dedicato alla riproposizione di Astral Weeks, tour di cui Hayes è stato il bassista.

Tutto in In Stereo! è pervaso da splendide atmosfere che richiamano alla mente il capolavoro dell’irlandese e l’altro suo disco pastorale, sempre con Hayes al basso, quel Veedon Fleece da cui è tratta la Country Fair che è la seconda traccia di questo bel disco, altro brano ripreso poi nel CD con Gene Parsons, ma qui, con oltre sei minuti di durata ed un arrangiamento completamente differente, siamo ad altri livelli. Per mettere insieme queste sonorità David Hayes ha lavorato di fino nel suo Smokey Haze Studio di Mendocino, coadiuvato dal fido Karl Derfler: poi gli strumenti se li è suonati quasi sempre da solo, occupandosi di basso, chitarre, armonica e voce, facendosi assistere solo da alcuni batteristi e – nelle prime quattro tracce – da Pete Sears alle tastiere e da Jim Rothermel al sax, clarinetto e flauto. Con ottimi risultati che sfociano nella creazione di brani d’incredibile atmosfera.

Dopo i due citati, c’è Dead Master con una pregevole armonica soffiata con un vibrato penetrante, e ancor più da meraviglia sono i sette minuti della strumentale Seven Bridges che richiama a più riprese le atmosfere del Mark Knopfler di Local Hero, con i fiati in vista ed un break di pianoforte in cui emerge tutta la bravura di Sears (che con Hayes ha lavorato a lungo al fianco di Terry Dolan negli anni ottanta). Piacevole anche Stony Brook, ma fa più presa Deseré, un brano intimista sorretto quasi totalmente da un basso sopraffino su cui Hayes si sovraincide con l’acustica, ritmica e solista, senza mai eccedere, lasciando comunque il basso, che è poi il suo strumento principe, in evidenza. In Love Is Right Hayes fa tutto da solo, non ci sono neppure i batteristi, e forse si sente troppo che le percussioni sono artificiali, però, sarà che ho proprio l’idiosincrasia nei confronti delle batterie elettroniche e delle drum machine…., il brano comunque è assolutamente buono e il suono del basso e delle chitarre ci fanno perdonare questa piccola pecca. E buono, intimo, più nell’onda di Astral Week che mai è anche il brano conclusivo, To Feel Love.

DAVID HAYES – Folk Jazz!

di Paolo Crazy Carnevale

29 settembre 2017

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DAVID HAYES – Folk Jazz! (Smokey Haze Music 2013)

Il titolo calza incredibilmente a pennello: d’altra parte David Hayes, in quasi cinquant’anni di onorata e considerevole carriera nel campo musicale ha sempre fluttuato tra un genere e l’altro, sempre con eleganza e maestria, dalla titolata prestazione d’opera come bassista al servizio di del Van Morrison migliore in poi. Citare tutto il suo curriculum sarebbe dispersivo oltre che eccessivamente lungo (per chi vuole approfondire il rimando è al numero 130 della nostra edizione cartacea), mi limiterò quindi a raccontarvi di questo piccolo disco argenteo che il nostro ha inciso con pochi amici nel suo studio nella contea di Mendocino: dieci brani dalle atmosfere in costante bilico tra il folk suggerito dall’uso delle chitarre acustiche (ad opera del medesimo Hayes) al jazz indotto da una sezione ritmica ad hoc (il basso del titolare, ovviamente, la batteria di Bob Ruggiero, anche lui già con Van Morrison, e il piano di Bill Bottrell, dal pedigree altrettanto nobile, sia come turnista che come produttore).

Il disco si apre bene con Warmth Of The Sun, poi ripesca Down In The Dirt che Hayes aveva già inciso per il suo sforzo precedente, Soul Diver. I Will Wait prelude ad una delle tracce più interessanti, Holy Ground in cui Hayes si dedica anche all’armonica, l’atmosfera è particolarmente folk jazz in questo brano, mentre nel successivo Soul Search, sempre con l’armonica, la voce si fa particolarmente dolente e la ritmica accentua le inflessioni jazz. Molto più bella Wolves Are At The Door, dall’inizio incalzante, con la pregevole prestazione di Hayes alla chitarra sembra arrivare direttamente da un western movie.

Old Dusty Road è invece una delle composizioni preferite del nostro, l’aveva già incisa con diverso arrangiamento su Soul Siver e in chiave ulteriormente diversa l’ha inclusa anche ne recente disco in duo inciso con Gene Parsons: e proprio Parsons è ospite in questa versione con la sua pedal steel, che fa veramente la differenza, col brano precedente è sicuramente tra le perle di questo dischetto.

Love Avenue gira dalle parti di Astral Weeks, la voce di Hayes non è quella del Cowboy Belfast ovviamente, ma l’influenza di Morrison si fa veramente sentire in maniera determinante (Hayes oltre che su classici come It’s Too Late To Stop Now e Veedon Fleece ha suonato anche nel tour in cui Morrison proponeva Astral Weeks dal vivo per intero). Molto bella anche Father To Son di nuovo con una spettacolare pedal steel di Parsons che stavolta ci mette anche la sua bella voce a duettare con quella dell’amico. La chiusura è affidata a Mirror Song, altra buona composizione dall’andamento moderatamente caraibico. Un disco quasi fatto a mano, se non in casa, a partire dai simpatici disegni di copertina, opera dello stesso Hayes. Se solo ne esistesse una versione in vinile il capo dei trapper ne sarebbe già sulle tracce…