DAVID HAYES – In Stereo!

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DAVID HAYES – In Stereo! (2012)

A David Hayes piace riprendere in mano le proprie canzoni, rivestirle, rivederle, ricantarle. Su questo disco pubblicato in autonomia qualche anno fa ci sono due brani che ha recentemente riproposto in chiave totalmente acustica nel suo recente CD in collaborazione con Gene Parsons. Uno dei due era già apparso su un altro disco solista uscito nel 2007, si tratta di The Colorado, che è poi anche il brano con cui si apre questo disco dal curioso titolo.

E, se proprio devo dirla tutta, questa lunga versione di quasi otto minuti è probabilmente la più bella, e oltretutto ci dà l’idea di quale sia il mood di In Stereo!, un mood profondamente legato alla musica del più famoso dei solisti per cui Hayes ha lavorato nella sua lunga e blasonata carriera. Mi riferisco a Van Morrison: tutto in questo disco è pervaso dall’humus morrisoniano, Hayes registra e produce il suo disco come se si trattasse di uno dei capolavori del suo antico mentore, probabilmente non è un caso, il disco è stato pensato e registrato nel paio d’anni successivi al tour di Van Morrison dedicato alla riproposizione di Astral Weeks, tour di cui Hayes è stato il bassista.

Tutto in In Stereo! è pervaso da splendide atmosfere che richiamano alla mente il capolavoro dell’irlandese e l’altro suo disco pastorale, sempre con Hayes al basso, quel Veedon Fleece da cui è tratta la Country Fair che è la seconda traccia di questo bel disco, altro brano ripreso poi nel CD con Gene Parsons, ma qui, con oltre sei minuti di durata ed un arrangiamento completamente differente, siamo ad altri livelli. Per mettere insieme queste sonorità David Hayes ha lavorato di fino nel suo Smokey Haze Studio di Mendocino, coadiuvato dal fido Karl Derfler: poi gli strumenti se li è suonati quasi sempre da solo, occupandosi di basso, chitarre, armonica e voce, facendosi assistere solo da alcuni batteristi e – nelle prime quattro tracce – da Pete Sears alle tastiere e da Jim Rothermel al sax, clarinetto e flauto. Con ottimi risultati che sfociano nella creazione di brani d’incredibile atmosfera.

Dopo i due citati, c’è Dead Master con una pregevole armonica soffiata con un vibrato penetrante, e ancor più da meraviglia sono i sette minuti della strumentale Seven Bridges che richiama a più riprese le atmosfere del Mark Knopfler di Local Hero, con i fiati in vista ed un break di pianoforte in cui emerge tutta la bravura di Sears (che con Hayes ha lavorato a lungo al fianco di Terry Dolan negli anni ottanta). Piacevole anche Stony Brook, ma fa più presa Deseré, un brano intimista sorretto quasi totalmente da un basso sopraffino su cui Hayes si sovraincide con l’acustica, ritmica e solista, senza mai eccedere, lasciando comunque il basso, che è poi il suo strumento principe, in evidenza. In Love Is Right Hayes fa tutto da solo, non ci sono neppure i batteristi, e forse si sente troppo che le percussioni sono artificiali, però, sarà che ho proprio l’idiosincrasia nei confronti delle batterie elettroniche e delle drum machine…., il brano comunque è assolutamente buono e il suono del basso e delle chitarre ci fanno perdonare questa piccola pecca. E buono, intimo, più nell’onda di Astral Week che mai è anche il brano conclusivo, To Feel Love.

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