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BEN GLOVER – Shorebound

di Paolo Crazy Carnevale

8 luglio 2018

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BEN GLOVER – Shorebound (Appaloosa/IRD 2018)

L’irlandese Ben Glover sta vivendo un vero periodo di stato di grazia: negli ultimi anni la sua ispirazione sembra davvero viaggiare alto e, presso il pubblico italiano ha trovato letteralmente una terza patria (la seconda è Nashville, dove abita da alcuni anni ed ha inciso questo suo nuovo disco, coadiuvato nella produzione da Neilson Hubbard, suo compagno d’avventura negli Orphan Brigade).

Un disco solista (il settimo) che arriva dopo un periodo intenso che lo ha visto dapprima portare le proprie canzoni in giro come spalla di Mary Gauthier, poi come autore principale dei due progetti di studio (ma c’è stato anche il live uscito un paio di mesi fa) sotto la denominazione Orphan Brigade.

Se non è essere attivi questo! Shorebound è un disco realizzato in maniera diversa rispetto a quelli di gruppo, certo c’è Hubbard con lui, ma ci sono anche molti altri compagni di viaggio, il gruppo essenziale che lo accompagna, basato sulle chitarre di Kris Donegan e Juan Salorzano, il piano di Barry Walsh e il violoncello di Chelsea McGough, Hubbard suona tutto il resto; e gli ospiti, una serie di amici con cui Glover si diverte a duettare in quasi tutte le tracce e che sono anche tutti coautori dei brani in cui figurano.

Buona senza dubbio l’apertura in chiave rock con una bella slide intitolata What You Love Will Break Your Heart, con la voce di Amy Speace, e al pari di questa si può considerare anche il duetto con la Gauthier, Catbird Seat in cui la slide è di nuovo in primo piano. I testi, certo, non sono molto allegri, già con i dischi degli Orphan Brigade ci eravamo abituati ad un autore introspettivo, quasi spettrale e qui non viene contraddetta tale definizione: la pianistica Dancing With The Beast (coi controcanti di Gretchen Peters, al pari della Gauthier una delle più importanti amiche musicali di Ben) narra di chissà quale temibile demone che s’impossessa del protagonista del brano, sia esso lo stesso Glover o un io narrante qualunque, con un bel finale in crescendo col violoncello in primo piano. A Wound That Seeks the Arrow si aggira intorno ad atmosfere più acustiche, e Northern Stars pure, qui le voci ospiti sono quelle di Malojian e Matt McGinn. Kindness è quasi acustica, raccolta, eseguita in sordina. L’organo suonato da Hubbard fa da sottofondo alla più spedita e più ottimistica Ride The River, in cui Glover duetta con la cantautrice Kim Richey, Song For The Fighting, il duetto qui è con Hubbard, è invece un brano in odor di Waterboys, nella struttura e nell’uso delle voci. Slide e cello sono le colonne portanti della title track, uno dei brani più riusciti della raccolta, Wildfire, si muove su due temi differenti, uno per le strofe, lento, quasi intimista, mentre l’altro esplode nel ritornello molto corale ed energico (se il termine energico fosse mai coniugabile alla musica di Glover) in cui è identificabile il background britannico dell’autore. Il disco si chiude con My Shipwrecked Friend, introdotta da una slide quasi alla Harrison e la love song Keeper Of My Heart in duetto col cantautore britannico Robert Vincent.

BEN GLOVER – The Emigrant

di Ronald Stancanelli

13 ottobre 2016

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BEN GLOVER
THE EMIGRANT
Appaloosa Records 2016

Dell’irlandese Ben Glover del cui recente gruppo/progetto, gli Orphan Brigade, abbiamo parlato mesi fa e che abbiamo visto dal vivo in un eccellente performance al Giardino di Lugagnano-Vr, sempre benemerito per tutti i concerti che propone, abbiamo tra le mani The Emigrant suo lavoro in uscita in questi giorni per la Appaloosa .

Ben Glover che vive a Nashville, mette come spina dorsale del suo lavoro come evidenziato dal titolo appunto l’emigrazione, con un pugno di brani di cui sei tradizionali rivisitati, tre scritti assieme ad altri artisti corrispondenti ai nomi della Mary Gauthier, di Gretchen Peters e Tony Kerr mentre uno totalmente a sua firma. Tema questo che trae spunti sicuramente dalla situazione internazionale attuale e anche dal fatto che lui stesso essendosi spostato dall’Irlanda agli Stati Uniti ha vissuto questi cambiamenti con relative questioni di adattamento e burocrazia o problematiche da sostenere e risolvere. Infine da considerare che l’artista nordeuropeo ha tempo fa attraversato un periodo di notevole interesse riguardo la musica tradizionale irlandese e relative ballad-song folk delle sue parti. Tutto ciò a dato forma a questo album della durata classica degli lp di una volta, quaranta minuti circa.

Interessante nel suo background musicale il fatto che da giovanissimo già suonava e proponeva nel suo paese brani e ballate di Springsteen, Johnny Cash, Hank Williams, Dylan e quando per motivi universitari, studiava a Boston, era negli States lì proponeva pezzi della sua terra come canzoni dei Pogues o di Christy Moore; interessante interscambio che sicuramente deve avergli giovato parecchio nella sua formazione musicale. Alcuni anni fa, nel 2009, si è trasferito a Nashville ove si è molto interessato a certa cultura musicale americana che lo ha portato nel 2014 al suo album solista Atlantic nel quale è riuscito con notevole bravura a fondere sonorità diverse mescolandole in modo molto costruttivo e adesso con questo suo secondo lavoro porta avanti il suo percorso sonoro. Molteplici sono stati i pezzi di folk irlandese che Glover aveva selezionato e provato per questo progetto, pare oltre una quindicina mentre la title track The Emigrant è stato il primo puzzle composto per questo disco concepito in solitaria nelle campagne irlandesi e poi portato a compimento assieme alla Peters. Altri sette musicisti lo accompagnano in questo interessante viaggio prodotto da lui stesso assieme a Neilson Hubbard che nel disco suona basso, percussioni e piano e compagno con lui negli Orphan Brigade. Tra i pezzi proposti una scarna ma incisiva versione, ma molto più lenta, decisamente folk, di And the Band played Waltzing Matilda, che molti conoscemmo grazie ai Pogues. Disco molto bello e ricco di pathos, sentimenti e luminose parole, tra l’altro il libretto come era stato per il disco degli O. Brigade contiene anche la traduzione dei pezzi in italiano. Come dice giustamente l’artista “ A modo nostro siamo tutti alla ricerca del nostro posto nel mondo e proprio come gli emigranti desideriamo trovare pace e un senso di appartenenza dato da quella sicurezza di essere a casa. “ Quindi se a volte per cause di forza maggiore chi emigra trova una situazione più consona a un modo di vivere più sereno e tranquillo nel contempo perde quel filo che lo lega indissolubilmente al suo posto di piena e reale appartenenza. Comunque se conoscete lo splendido brano di Jonas Fjeld e Jim Sherraden che era in Danko-Fjeld-Andersen , eccellente disco del 1991 potete avere un’immediata idea di quello che significa e manifesta il disco di Glover che ci permettiamo vivamente di consigliare . La copertina è un particolare del bel dipinto The Crossing di Eamonn Higgins, scultore/pittore contemporaneo nordirlandese specializzato in sculture e quadri prevalentemente di animali.