PETER ROWAN – Calling You From My Mountain

peter rowan calling you from my mountain

Peter Rowan – Calling You From My Mountain (Rebel 2022)

Il nume tutelare della musica bluegrass (credo nessuno possa aspirare a questo titolo maggiormente di Peter) per festeggiare il suo ottantesimo compleanno ha voluto fare le cose in grande, ha partecipato a fior di raduni nel corso del 2022, suonato in autotributi insieme a giovani colleghi, si è esibito con vecchie glorie sulla breccia almeno quanto lui se non anche da più tempo, soprattutto però, ci ha voluto donare questo nuovo disco, poco più di tre quarti d’ora di bluegrass totale, con il suono della sua chitarra e una voce da far gridare “Chapeau!”.

Non che fossero mancati suoi dischi negli ultimi anni, anzi, la media è di una decina per decade tra ristampe d’archivio e cose del tutto nuovo, ma era almeno da otto anni che Peter non faceva un disco di questo livello, una bella raccolta di canzoni che pesca tra originali e riletture dal repertorio di altri colleghi.

Peter si è fatto aiutare da una classica formazione che oltre a lui vede sfilare il mandolino di Chris Henry, il banjo Max Wareham, il violino di Julian Pinelli e il basso acustico di Eric Thorin, nessuna star, tutti onesti lavoranti di un genere che difficilmente delude, perché il bluegrass è musica vera, genuina, senza trucchi. E Peter Rowan qui allinea una serie di composizioni che quando non sono bluegrass per nascita lo diventano grazie al suo tocco: si va dall’iniziale brano di Woody Guthrie New York Town a Veil Of The Deja Blue composta col fratello Lorin a Come Along Jody del vecchio compadre Tex Logan. Ottima la resa di Little Joe della Carter Family, poi arriva uno degli highlight, nonché singolo di lancio del disco, la composizione autografa The Song That Made Hank William Dance in cui Peter duetta con la voce di Shawn Camp: niente superstar nel gruppo si diceva, ma Peter che è uno sempre sul pezzo, che conosce la scena e ne è riconosciuto guida illuminante, nelle atmosfere irish di A Winning Hand si fa accompagnare dalla chitarra di Billy Strings, nome di punta del bluegrass virato jam degli ultimi anni. E a ruota, la title track ha la voce della fantastica Molly Tuttle a duettare con lui, come se Peter volesse indicare chi sono i nomi che contano nel futuro bluegrass. Lui però ha pure un background ben radicato nel bluegrass delle origini, negli anni sessanta è stato per un po’ il chitarrista dei Bluegrass Boys di Bill Monroe, ecco allora che una composizione del suo maestro ci sta come il cacio sui maccheroni, Frog on the Lilly Pad è uno strumentale dall’impostazione classica, con tutti i break dei solisti che si susseguono senza tirare mai il fiato, inutile dire che gli applausi dono di rigore.

The Red The White And The Blue è una composizione autografa che vede di nuovo la Tuttle, stavolta ai cori e al banjo e Shawn Camp alla chitarra, Light At the End of The World, sempre a firma Rowan risale addirittura al 1971, ci canta le parti basse Mark Howard, presente più avanti anche in Dream Of Heaven. Penitentiary Blues è invecel’adeguamento a la Rown di un vecchio blues di Lightnin’ Hopkins, assolutamente riuscito. Il finale è affidato al medley tutto autografo intitolato Freedon Trilogy formato da Eagle’s Nest, Panther In A Cage e da Freedom State of Mind, di nuovo con il prezioso contributo di Billy Strings, perfettamente amalgamato col gruppo.

Paolo Crazy Carnevale

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