DEEP PURPLE – Turning To Crime
DEEP PURPLE
TURNING TO CRIME
EarMUSIC/Edel 2021
Si sono divertiti di più i Deep Purple a registrare Turning To Crime oppure gli appassionati ad ascoltarlo? E’ difficile rispondere! Di sicuro si respira un’atmosfera rilassata e festosa tra i solchi di questo album di cover, il primo della carriera della gloriosa band britannica che, peraltro, ha avuto il suo primo hit con Hush di Joe South nel ‘68. Un disco nato da un’idea del produttore Bob Ezrin, concepito e inciso durante il lockdown come si capisce dalle ironiche note di copertina in cui si parla di cinque musicisti disoccupati e agli arresti domiciliari, di un pizzico di tecnologia, di una cucchiaiata di canzoni che li hanno influenzati nel corso degli anni, di un un miscuglio di tutto ciò con l’aggiunta di un po’ di sale e pepe…ed ecco il risultato! Ian Gillan (voce), Ian Paice (batteria) e Roger Glover (basso) sono i tre superstiti della formazione storica detta Mark II, ai quali da anni si sono aggiunti Steve Morse (chitarra dal 1994) e Don Airey (tastiere dal 2002). A differenza di altre band storiche loro hanno continuato a pubblicare album nuovi: Now What?! (2013), inFinite (2017) e Whoosh! (2020), sempre prodotti da Bob Ezrin, hanno occupato posizioni di rilievo nelle classifiche europee (in Germania tutti e tre al primo posto) e anche dal vivo hanno eseguito parecchie tracce recenti alternate ai classici dei decenni precedenti.
Ma Turning To Crime è un’altra storia, un album che senza particolari ambizioni vuole ricordare su cosa si è formata la musica del quintetto e per questo è un disco di rock, non di hard rock, con venature rock and roll e soul. La passione di Gillan per il rock and roll dei fifties è testimoniata dalle incisioni con The Javalinas e in questa occasione dalla briosa ripresa di Rockin’ Pneumonia And The Boogie Woogie Flu del ’57 in cui spicca il piano boogie di Airey, di Let The Good Times Roll del ’46 incisa con il suono di una big band, con intermezzi jazzati di chitarra, piano e organo e di The Battle Of New Orleans, skiffle di Jimmy Driftwood del ’59, portata al successo da Johnny Horton, con il violino di Gina Forsyth che Gillan e Glover suonavano con gli Episode 6 prima di entrare nei Deep Purple.
Passando al periodo successivo l’opener 7 And 7 Is dei Love (1966) non ha la rabbia garage dell’originale, mentre Oh Well di Peter Green (1969) fa la sua figura pur non avvicinando la versione dei Fleetwood Mac specialmente nel suono della chitarra. Funzionano meglio un’indurita Jenny Take A Ride di Mitch Ryder, Lucifer di Bob Seger da Mongrel del ’70, una gloriosa White Room (da segnalare in generale la qualità delle interpretazioni vocali di Ian Gillan), una cadenzata Shapes Of Things, una briosa Dixie Chicken con il piano nuovamente in evidenza e persino Watching The River Flow di Bob Dylan.
Decisamente riuscita la scelta del finale: un brillante medley prevalentemente strumentale chiamato Caught In The Act in cui si alternano segmenti di classici, da Going Down a Green Onions, da Hot’ Lanta a Dazed And Confused, per finire con Gimme Some Lovin’.
Paolo Baiotti
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