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NEIL PEART: Addio Professore!

di Paolo Baiotti

19 gennaio 2020

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Mi ha sempre dato un’idea di forza e di solidità Neil Peart, il batterista del trio canadese dei Rush che è morto il 7 gennaio a causa di un tumore al cervello. Dietro alla batteria sempre più grande e ricca di elementi della band sembrava inattaccabile, solido come un muro d’acciaio, forte e resistente. Invece la sua vita è stata piena di sofferenze e di dolori oltre che, ovviamente, di soddisfazioni e trionfi professionali.

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Nato il 12 settembre del 1952 ad Hamilton in Ontario, era entrato nei Rush nel ’74, sostituendo il batterista originale John Rutsey e raggiungendo Geddy Lee (voce e basso) e Alex Lifeson (chitarra). Ispirato dallo stile vorticoso di Keith Moon e dalla potenza di John Bonham e Ginger Baker, in breve tempo Neil era diventato un elemento centrale del trio, al pari dei colleghi, nonché il principale autore dei testi. E proprio in questo campo dimostrò subito doti sorprendenti, ispirato dalla sua passione per la filosofia (nei primi anni in particolare per le teorie della scrittrice Ayn Rand come evidenziato dai testi di Anthem e 2112), per la fantascienza e per la mitologia. In seguito negli anni ottanta inserì elementi personali e sociali con l’uso di metafore e simbolismi inusuali per un gruppo rock.

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Eclettico e pieno di interessi, ha scritto sette libri, il primo The Marked Rider: Cycling In West Africa nel 1996, nel quale ha raccontato un viaggio di un mese in bicicletta attraverso il Camerun.
Nel frattempo i Rush mietevano un successo dopo l’altro. A partire da 2112 pubblicato nel ’76, la band ha avuto una crescita costante negli anni successivi in cui, dopo essere partita da un hard rock led zeppeliniano, ha inserito elementi di complessità prog che hanno catturato la fantasia del pubblico nordamericano e, in parte, europeo. Suonando senza sosta e con qualche aiuto delle radio FM grazie a brani come A Passage To Bangkok, Closer To The Heart e Spirit Of The Radio, ogni album ha venduto più del precedente fino all’esplosione di Permanent Waves (n. 4 in Usa e n. 3 in Gran Bretagna) e all’apice del successivo Moving Pictures (n. 1 in Canada, n. 3 in Gran Bretagna e Usa con 4 milioni di copie vendute), sintesi perfetta dei primi anni della loro storia, un disco di rock fresco e accessibile, complesso senza essere cervellotico, con la giusta dose di virtuosismo e melodia esemplificata da tracce come Tom Sawyer, Red Barchetta e Limelight. Negli anni ottanta i Rush hanno inserito con maggiore convinzione sintetizzatori e suoni elettronici, abbracciando le nuove tecnologie e ammorbidendo il suono con risultati non sempre convincenti, mantenendo comunque una larga popolarità e collocandosi stabilmente nel circuito delle grandi arene. Negli anni novanta Neil, soprannominato The Professor e diventato uno dei musicisti più considerati, premiati e imitati anche per i suoi assoli impeccabili dal punto di vista tecnico, intricati e particolari negli stacchi, nei tempi e nell’uso di percussioni di ogni tipo (per 7 anni consecutivi è stato votato miglior batterista dai lettori dalla rivista Modern Drummer), ha avuto l’umiltà di prendere lezioni di batteria jazz da Freddie Gruber, per inserire altri elementi nel suo modo di suonare, ispirato dall’ammirazione nei confronti di Gene Krupa e Buddy Rich.

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Ritornati ad un suono più chitarristico a partire da Roll The Bones del ’91, i Rush hanno proseguito con Counterparts e Test For Echo ma, dopo il relativo tour promozionale del ’96-’97, la vita di Peart è stata scossa da una doppia tragedia. Nel giro di pochi mesi ha perso la figlia Selena Taylor nell’agosto del ’97 a causa di un incidente stradale e la moglie Jacqueline Taylor (erano sposati da 23 anni) nel giugno del ’98 per un tumore e per il dolore insopportabile dovuto alla perdita della figlia diciannovenne. Neil interrompe la sua attività, i Rush si fermano. Il batterista intraprende un lungo viaggio sabbatico in moto attraverso il Nord e il Centro America, riassunto nel libro Ghost Rider: Travels On The Healing Road (Il Viaggiatore Fantasma in italiano, uscito per la Tsunami nel 2014), un diario di viaggio, emozioni e sofferenza. Lentamente si riprende, incontra la fotografa Carrie Nuttall che sposa nel settembre del 2000 e richiama i compagni per riprendere l’attività musicale. Il suo carattere è cambiato: da sempre introverso, geloso della sua privacy e sospettoso verso la stampa, accentua questo atteggiamento, protetto dai colleghi.

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I Rush entrano nel nuovo millennio rispettati come non mai. Una nuova generazione di musicisti li considera dei precursori, i loro concerti sono sempre sold out. Il disco del ritorno Vapor Trails del 2002 non è particolarmente brillante, anche per colpa di un discusso mixaggio, tanto che dieci anni dopo ne uscirà una nuova edizione rimixata, ma dal vivo sono esaltanti, come ribadito dal live Rush In Rio, pubblicato sia in audio che in video. Nel 2007 esce Snakes And Arrows, cinque anni dopo l’eccellente concept Clockwork Angels (n.1 in Canada, n. 2 in Usa), diciannovesimo e ultimo album in studio, inciso tra il 2010 e il 2012 nelle pause del Time Machine Tour. Neil è stanco, ha problemi fisici alle spalle e alla schiena (soffre di tendinite cronica) che gli rendono difficile suonare la batteria nonostante una preparazione degna di un atleta professionista.

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Nel 2015, terminato il tour R40, annuncia il suo ritiro dichiarando che, come per gli sportivi, arriva il momento di fermarsi, di uscire dal gioco. Vive tranquillamente in California, si gode la nuova famiglia che nel frattempo si è ampliata con la nascita nel 2009 di Olivia. Rimane in ottimi rapporti con Lifeson e Lee, che confermano la fine della band in più occasioni. Il tumore lo aggredisce alla fine del 2016, ma la notizia resta segreta a quasi tutti fino alla notizia della sua morte il 7 gennaio. Le reazioni di sorpresa e dolore sono innumerevoli, non solo nel mondo della musica e dello spettacolo. Il primo ministro canadese Justin Trudeau dichiara: “abbiamo perso una leggenda. Ma la sua influenza e la sua eredità vivranno per sempre nei cuori negli appassionati di musica in Canada e in tutto il mondo”. Sembra banale, ma è la pura verità.

Rush: discografia consigliata

2112 (Mercury/Anthem 1976)
Hemispheres (Mercury/Anthem 1978)
Permanent Waves (Mercury/Anthem 1980)
Moving Pictures (Mercury/Anthem 1981)
Exit…Stage Left (Mercury/Anthem 1981)
Grace Under Pressure (Mercury/Anthem 1984)
Rush In Rio (Alantic/Anthem 2003)
Clockwork Angels (Roadrunner/Anthem 2012)
Rush R40 Live (Anthem/Zoe 2015)