RACHEL GARLIN – Wink At July

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RACHEL GARLIN – Wink At July (Tactile Records 2016)

Piacevole, scorrevole, delicato, ispirato: questo disco della cantautrice californiana Rachel Garlin è una delle cose più graziose, musicalmente parlando, che mi siano capitate sulla scrivania negli ultimi tempi. Come per la maggior parte delle pubblicazioni che mi arrivano, anche in questo caso si tratta del disco di una perfetta sconosciuta e vi assicuro che non vi è davvero nulla di meglio che ascoltare questi dischi che altrimenti non mi capiterebbe mai di avere per le mani, forse non saranno capolavori assoluti, ma per quanto mi riguarda è difficile che anche i miei eroi musicali di un tempo si mettano a fare capolavori assoluti, anzi, sovente capita che finiscano per deludermi, e allora ben vengano dischi come questo Wink At July.

Questa signorina (o signora) che ha la sua base a San Francisco, è sulla scena da un po’ di tempo, ha cominciato a far parlare di sé quando ha vinto un contest per nomi nuovi da mandare al Newport Folk Festival ed ha al suo attivo diversi dischi, ma tutti EP, questo se le informazioni su di lei sono corrette dovrebbe essere il suo primo prodotto a lunga durata. Con una voce limpida che ricorda in qualcosa la più nota Norah Jones (ma il genere è meno mainstream) e le Indigo Girls (nei cori), arricchita di sfumature pastello che ben s’intonano con le copertine dei suoi dischi, Rachel Garlin è davvero una bella scoperta.

Wink At July è composto da dodici canzoni dalla struttura essenziale, a volte sorrette dalla chitarra della titolare e poco altro, altre da interventi azzeccati di slide e chitarre varie, organo, sezione ritmica mai invadente e con comune denominatore quella voce davvero convincente. E prestando attenzione ai testi appare chiaro quanto oltre che una brava cantante, la Garlin sia anche un’apprezzabile cantastorie, o storyteller, come dicono dalle sue parti, che si tratti della bella canzone dedicata all’artista Keith Harring (Hey Keith Harrin), dell’iniziale Gwendolyn Said incentrata sui ricordi d’infanzia, o della bellissima Stranded che racconta di un viaggio in Arizona. Proprio questa è una delle composizioni più belle di un disco che però ha davvero molte frecce al proprio arco, storie ma anche impressioni, come quelle di un altro punto forte del disco, Colorado Rain dal refrain accattivante e dall’andatura molto orecchiabile, o di The Sea You See in cui l’ispirazione è la Scozia, paese natale della madre della cantautrice, o ancora Spin e Flying Together per sole chitarra e voce.

Gli accompagnatori sono soprattutto amici, sia per quanto riguarda le parti vocali che strumentali, tra i più noti almeno due nomi spiccano nell’elenco, i due batteristi Michael Urbano (gli anni novanta nel giro di John Hiatt) e Prairie Prince (dal prestigioso pedigree musicale).

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