COLLEEN RENNISON – See The Sky About To Rain

COLLEEN RENNISON See the sky

COLLEEN RENNISON
See The Sky About To Rain
(Black Hen Records 2014)

Chapeau! Non sono riuscito a scoprire se questa graziosissima signora (o signorina) abbia inciso altri dischi prima di questo, che prende il titolo da un brano di Neil Young, cosa che naturalmente ha richiamato la mia attenzione. Ho scoperto però che ha anche una parallela carriera come attrice, cosa peraltro insignificante all’atto di cercare di parlarvi questo disco. Oltre che il titolo younghiano, ad incuriosirmi è stata anche la copertina, un richiamo abbastanza evidente a quella di Elite Hotel di Emmylou Harris, e il disco, evidentemente si muove a cavallo tra atmosfere da singer/songwriter e richiami country, il tutto con una predilezione per la scuola canadese. E che diamine, non ve l’ho ancora detto, è vero, la Rennison è canadese a sua volta e la presenza nel disco di firme come quella di Young, di Leonard Cohen, di Joni Mitchell e The Band è un bellissimo omaggio ai suoi più noti conterranei. Attraverso una scelta di canzoni notevoli che ben si guardano dall’essere tra quelle più gettonate o prevedibili.

Canada e Texas, ma anche altro. Texas con una bellissima rilettura di White Freightliner del sempiterno Townes e con Blue Wing dal songbook del texano acquisito Tom Russell.

Bollare il CD come un semplice disco di cover – pur sempre d’autore – è però riduttivo perché questo See The Sky About To Rain oltre che da una bella serie di brani, da una cantante dalla voce interessante è caratterizzato anche da una produzione. Scusate se è poco, ma negli anni del digitale e della musica fatta in casa, la produzione, intesa come creazione di un suono identificabile, è passata purtroppo in secondo piano. I dischi abbondano ma i suoni latitano.

Invece in questa raccolta di canzoni c’è anche un sound corposo a fare da base al tutto. Merito di Steve Dawson, canadese anche lui e titolare dello studio Henhouse, dove il disco è stato registrato; Dawson ha al suo attivo diverse produzioni, tra cui Kelly Joe Phelps e Deep Dark Woods, e infarcisce delle sue chitarre, banjo e pedal steel le tracce del disco creando un solido supporto in cui si vanno ad intersecarsi tutti gli altri musicisti – nessun nome di grido, ma tutti bravi –, in primis il tastierista Darryl Havers, che tesse trame dense e pregnanti.

Ben due i brani a firma Robbie Robertson, una riuscitissima All La Glory e Stage Fright, un’entusiasmante rilettura di Coyote (della Mitchell ma a sua volta non priva di implicazioni con il gruppo di Robertson), un omaggio a Bobby Gentry, ai Cowsills e due brani che apparivano sul terzo disco di Rita Coolidge: Whiskey Whiskey firmata da Tom Ghent e My Crew a firma Booker T e Priscilla Coolidge (sorella di Rita e a sua volta interprete del brano anni dopo su un disco solista). Il finale è una bella e solida revisione della title track younghiana.

Tags:

Non è più possibile commentare.