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AA.VV. – Yayla, musiche ospitali

di Paolo Crazy Carnevale

2 settembre 2018

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Various Artists – Yayla, musiche ospitali (Appaloosa 2018)

Un progetto nobile, intelligente, variopinto questo CD realizzato dall’Appaloosa su input del Centro Astalli, una struttura che si occupa di accoglienza per i migranti.

E difatti, il titolo è già molto esplicativo riguardo ai contenuti sonori e lirici qui contenuti: si tratta di una parola turca che significa “transumanza”. E di transumanza, in tutte le sue varietà si parla e soprattutto si canta nelle trenta tracce spalmate sui due CD contenuti nella confezione, riunendo sotto un unico tetto artisti italiani, artisti dei paesi da cui il flusso migratorio verso il mediterraneo arriva, e, perché no musiche e artisti più vicini al catalogo Appaloosa tradizionale.

Il risultato è decisamente interessante, nonostante la presenza di più brani parlati (sono ospiti del progetto attori e poeti, su tutti l’immenso Erri De Luca, ma anche Donatella Finocchiaro, Valerio Mastandrea) che richiedono un ascolto diverso da quelli musicali.

Tra canzoni nuove, canzoni meno recenti date in dono al progetto da artisti di rilievo, atmosfere tradizionali tipiche di tutta l’area di quel “mare nostrum” dei latini che a ben vedere è nostrum nel senso di tutti coloro che vi si affacciano.

Antonella Ruggiero regala quindi al progetto un differente mix di Nuova terra, una sua canzone di diversi anni fa ma che pare scritta alla bisogna, e così fanno i Gang, che rispolverano dal loro ultimo disco di brani originali quella Marenostro che (pur ricordando nella musica altre cose della band marchigiana) sembra davvero ispirata per finire in un progetto come Yayla. Suggestivo il brano proposto da Michele Gazich in compagnia di Isaac De Martin e Alaa Arshed e intitolato Itaca o Milano, e che dire della rilettura che il Coro popolare della Maddalena fa di Sinan Capudàn Pascià e de Il pescatore, cucendo insieme le due composizioni deandreiane. Sempre sul primo disco vale senz’altro la pena segnalare la Taranta migrante dei Traindeville, grande esempio di folk di protesta contemporaneo dall’effetto magistrale, e la conclusiva La memoria dell’acqua di Erica Boschiero.

Il secondo disco, per tutta la prima parte si gioca su grandi voci femminili, con suggestioni orientaleggianti, sonorità balcaniche: sembrano particolarmente azzeccate Matri l’emigranti di Matilde Politi, che punta l’indice sul fatto che una volta i migranti eravamo noi, e la bella composizione di Andrea Parodi (mente occulta dietro alla scelta di parte del materiale) Rosamarina. E subito dopo uno dei brani simbolo – almeno nella tradizione nordamericana – sul tema della migrazione, quella Deportee composta da Woody Guthrie, dedicata ad una strage di migranti di molti decenni fa: qui la interpretano Sarah Jane Ceccarelli e Paul-Jones Kokou trasportandone la melodia tra Bretagna e Irlanda, con oculatezza. Bocephus King (con Saba Angiana e Flophouse Jr.) mette sul piatto un brano scritto appositamente per il disco, By Foot, By Boat, By Train, facendosi sedurre dalle sonorità mediterranee e fondendole con suoni più moderni, e il risultato è molto interessante.
Thom Chacon, una delle rivelazioni di maggior rilievo in casa Appaloosa, riprende dal suo recente disco I’m An Immigrant, una canzone davvero grande, che viene reincisa per l’occasione, con Rado Lorkovic, Paolo Ercoli e con Violante Placido a duettare col titolare. Gli applausi sono scontati.

Neri Marcorè e Giua cantano invece Perché ci hai messo tanto, di nuovo un brano di Andrea Parodi, riuscito e molto De André oriented, che la voce di Marcorè caratterizza particolarmente bene. Dal catalogo Appaloosa arriva poi James Maddock con The Mathematician, una delle migliori canzoni del suo recentissimo album, qui però reincisa con Tatè N’Songan. Meno interessante il contributo di Ben Glover, mentre a chiudere il progetto troviamo un’ottima Jamma scritta e interpretata da Marius Seck e Guido Tronconi e una rivoluzionaria rivisitazione dell’Isola che non c’è in cui Jono Manson riprende il brano traducendolo in inglese, rivestendolo di suoni e suggestioni insospettabili, coinvolgendo Saif Samejo e, udite udite, lo stesso Bennato. Manco a dirlo, gli applausi sono di rigore anche qui!