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U.S. RAILS – Ivy

di Paolo Crazy Carnevale

8 febbraio 2017

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U.S. Rails – Ivy (Blue Rose 2016)

Sono sulla breccia da qualche anno questi “binari americani”, distribuiti in maniera indipendente in patria e accasati presso la germanica Blue Rose per quanto riguarda il mercato europeo, dove si presentano pretenziosamente come alfieri di un suono che si rifà abbondantemente alla west coast più gloriosa. In realtà sono dei rockettari che provengono da diverse esperienze e amano autodefinirsi supergruppo, proprio come era di moda chiamare certe band negli anni settanta.

In realtà nessuno di loro ha un pedigree abbastanza altisonante da potersi considerare star in proprio, nemmeno quel Joseph Parsons che di questi U.S. Rail è stato membro in anni passati (e che aveva fatto parte di un altro supergruppo fittizio di casa Blue Rose negli anni novanta, quegli Hardpan finiti presto e giustamente nel dimenticatoio).

Illazioni a parte, che siano star o meno, questi U.S. Rails non sono male, il disco si ascolta piacevolmente anche se tutto sa di già sentito: nelle comunicazioni ufficiali si annunciano come ispirati da CSN o Eagles: sinceramente dei primi si avvertono echi vagamente stillsiani solo in Way Of Love, seconda canzone del disco (ma nel loro disco d’esordio i “binari” avevano inciso Suite: Judy Blue Eyes). Tracce di Eagles ce ne sono ovunque, ma anche di The Band, sarà per la voce di Tom Gillam che vira abbastanza verso le tonalità di Rick Danko. Il suono è robusto, con la giusta miscela tra strumenti elettrici ed intromissioni di chitarre acustiche e pedal steel che benissimo si innestano nel sound del gruppo (il super, va là, lasciamolo a casa).

Se il brano d’apertura, Everywhere I Go, è trascurabile, forse il meno interessante, troppo notturno rispetto al resto delle produzioni incluse nel disco, brilla invece in modo particolare la terza traccia, Colorado (il cui titolo ricalca venerabili composizioni omonime di Rick Roberts e Stephen Stills), caratterizzata proprio dai suddetti innesti di strumenti acustici. Gonna Come Sunshine è cantata e composta invece da Ben Arnold, molto easy listening, radiofonica, buon pezzo; I’m A Lucky Man invece è introdotta dal dobro e riporta direttamente alle autostrade assolate del Golden State, tanto da poter sembrare benissimo uno scarto degli Eagles. Inizio stradaiolo con slide a manetta, cori ispirati per l’altrettanto eaglesiana Hes’s Still In Love With You, che con Colorado è una delle cose migliori di questo disco.

Not Enough è invece di nuovo The Band-oriented, forse anche troppo, ma si eleva per l’assolo di chitarra. Trouble Gonna Be vira addirittura verso sonorità byrdsiane, senza distinguersi più di tanto, molto di maniera Declaration, quasi in stile Doobie Brothers ultima maniera, e finale in linea con I’ve Got Dreams, solida composizione ben sostenuta da chitarre e cori.