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THE NEW BASEMENT TAPES – Lost On The River

di Paolo Crazy Carnevale

2 novembre 2015

new basement tapes

THE NEW BASEMENT TAPES
Lost On The River
(Harvest 2014)

Una doverosa premessa: non sono un grande estimatore dei dischi prodotti da T-Bone Burnett. Secondo me, ma ammetto che potrebbe essere un mio limite, suonano tutti uguali (con l’eccezione della colonna sonora del film dei fratelli Coen “Fratello dove si?”). Più o meno. Tanto meno mi piace come cantante e non ho mai apprezzato nemmeno la tanto esaltata Alpha Band di cui faceva parte con Steven Soles e David Mansfield.

Ciò detto vi sarà chiaro perché al momento dell’uscita di questo disco ho storto il naso. Di per sé mi pareva che l’operazione fosse un po’ studiata a tavolino per sfruttare il vento in poppa del “Bootleg Series vol.11”, dedicato ai Basement Tapes dylaniani, comunque alla fine mi sono lasciato tentare, ho aspettato che i prezzi calassero e ho comprato questo disco, che tra l’altro ha anche una bruttissima copertina.

Devo dire che a lungo andare, ascolto dopo ascolto lo trovo buono, meglio della prima volta che l’ho ascoltato – ammetto, distrattamente – in mp3. Ma l’mp3 è un palliativo.

Ero perplesso anche dalla scelta di cantanti: Costello mi piace a piccole dosi, idem Jim James, la Giddens così così, meglio Taylor Goldsmith, Mumford and Sons non mi entusiasmano proprio.

Presi insieme e mescolati come avviene in questo disco, sembrano però funzionare tutti meglio del previsto. E mi sembra che i suoni che alla fine siano ben riusciti, intriganti, con atmosfere folkie e siringate di rock e talvolta gospel, belle incursioni acustiche e anche lancinanti interventi elettrici.

L’idea di base sono alcune liriche riemerse miracolosamente da chissà quale baule, scritte da Bob Dylan nel periodo in cui se ne stava chiuso a Big Pink a cazzeggiare meravigliosamente con Robertson, Danko e soci: liriche che sono state affidate ai suddetti artisti e di conseguenza musicate, poi dal cappello a cilindro in cui le canzoni sono state infilate la produzione ha estratto quelle finite nel CD in questione, talvolta in versioni differenti, ossia con lo stesso brano musicato dall’uno o dall’altro, tipo la title track, presente in due versioni, la prima musicata da Costello e la seconda dalla Giddens e Mumford, e in entrambi i casi con un bel risultato.

I titoli inclusi nel disco sono venti (tre quelli ripetuti, anche se uno in realtà con titoli diversi), e proprio questi brani ripetuti fanno intuire come le liriche dylaniane fossero solo una specie di canovaccio su cui i cinque cantanti hanno operato anche a livello di testo e non solo musicale, in particolare Six Months in Kansas City (o Liberty Street) che evidenzia diverse differenze liriche tra la versione musicata da Costello e quella da Taylor Goldsmith (dei californiani Dawes). L’altro brano “doppio” è Hidee Hidee Ho, che non mi entusiasma in nessuna delle due versioni, a differenza degli altri due. Come non sono certo entusiasmanti il brano d’apertura del disco, Down On The Bottom e quello che lo segue Married To My Hack. Di tutt’altro spessore è invece Kansas City (nulla a che vedere col brano citato prima, Six Months in Kansas City), musicato da Goldsmith e Mumford, con Johnny Depp ospite e con una chitarra elettrica da urlo. Spanish Mary con la musica di Rihannon Giddens (dei Carolina Chocolate Drops) sembra abbia rubato parte della melodia alla tradizionale Gipsy Davy, mentre Nothing To It musicata da Jim James (My Morning Jacket) è forse il brano che richiama maggiormente alla mente il sound di The Band, o meglio certe composizioni scritte da Dylan con i membri del gruppo in occasione delle session in cantina. Tra le cose migliori metterei anche Card Shark, Diamond Ring, The Whistle Is Blowing e Duncan And Jimmy. Un risultato non male per un disco, forse un po’ troppo lungo, nei cui confronti ero partito assai prevenuto.