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MIKE CAMPBELL & THE DIRTY KNOBS – External Combustion

di Paolo Crazy Carnevale

16 luglio 2022

Mike Campbell & The Dirty Knobs - External Combustion (1)

Mike Campbell & The Dirty Knobs – External Combustion (BMG 2022)

Spiace dirlo, perché Mike Campbell è un personaggio di statura superiore e sarebbe anche un eccellente produttore, come ha dimostrato qualche anno fa assistendo in regia Marty Stuart, ed è uno che dalla chitarra elettrica riesce a cavar fuori suoni fantastici: anteporre il proprio nome a quello del gruppo (contrariamente a quanto era accaduto per il disco precedente) suona come una mossa furbetta per migliorare le cose, senza però cambiare il risultato.

È chiaro che dopo la prematura dipartita di Tom Petty il buon Campbell si sia trovato per così dire disoccupato, ma i Dirty Knobs possono essere considerati tutt’al più un side project fatto per divertirsi. Anche se si fanno produrre da Drakoulias il giudizio non cambia.

Una band da divertimento e, soprattutto, senza idee.

Questo nuovo disco è la logica continuazione di quello che lo aveva preceduto meno di due anni fa, un disco di rock, se vogliamo classico, suonato bene ma con poco smalto. Campbell canta discretamente, la chitarra la suona da dio, ma a comporre canzoni non ha la scintilla di Petty, e ci mancherebbe!

Altrimenti non avrebbe fatto il gregario, se pur di lusso.

Se nel disco d’esordio del quartetto da lui guidato c’era qualche buona composizione (ma si sa, per scrivere i brani dei dischi d’esordio si ha sempre a disposizione molto più tempo che per il secondo, la regola è quasi aurea), qui si fa fatica ad ascoltare il disco dall’inizio alla fine.

A poco serve metterci un po’ di furore rockabilly, quanto meno ci vorrebbe la voce giusta per cantarli, le prime due tracce (Wicked Mind e Brigitte Bardot) suonano abbastanza simili e non hanno guizzi degni di nota, meglio Cheap Talk, dal titolo quasi rubato a Keith Richards, che mette un po’ di sperimentazione nel sound con l’inserimento di archi e fiati (un po’ come aveva fatto Dave Stewart col Tom Petty di Southern Accents), il brano ha comunque un pregevole assolo di chitarra e la prezzemolina ma brava Margo Price ci fa i cori.

Più dura la title track che ha un sound in odor di hard rock su cui Campbell infila la slide. Dirty Job vede la presenza di Ian Hunter a duettare con la voce di Mike e questo fa la differenza oltre a risollevare un po’ le cose, il brano è un rock granitico dal riff abbastanza migliore rispetto al resto. Il lato A si chiude di nuovo con la presenza della Price, State of Mind, questo il titolo della lenta canzone in cui ritroviamo le caratteristiche di Cheap Talk, fiati e archi, l’intervento di Margo è più consistente e aiuta sicuramente il brano che di per sé non è comunque un capolavoro.

La seconda parte inizia con Lightning Boogie, l’ennesimo brano di routine che fa tornare il disco nell’oblio, c’è il piano di Benmont Tench, sì, ma latita la sostanza, tutto è strasentito. In Rat City la voce di Campbell convince maggiormente di quanto nono sia accaduto finora, il livello resta comunque sotto la media, che si risolleva con la languida In This Lifetime, che senza l’urgenza di essere un brano da usare e gettare come buona parte dei precedenti si concentra sui suoni delle chitarre evidenziando che Campbell ve ne suona più d’una. It Is Written paga spudoratamente dazio a Petty, sembrerebbe esserci una tastiera, ma le note di copertina non lo dicono, probabilmente è di nuovo Tench, del resto non viene detto neppure di sia la seconda voce che si alterna a quella di Mike… e pensare che è la produzione di una major! Il disco si chiude abbastanza dignitosamente con la cadenzata Electric Gipsy, brano riuscito e piacevole, di nuovo con tastierista ignoto.

Paolo Crazy Carnevale

THE DIRTY KNOBS – Wreckless Abandon

di Paolo Crazy Carnevale

28 marzo 2021

Dirty Knobs - Wreckless Abandon (1)

THE DIRTY KNOBS – Wreckless Abandon (BMG 2020)

Nostalgia di Tom Petty? E chi non ne ha…. Anche se a dire il vero, da quando è mancato la sua famiglia non ha certo lesinato in pubblicazioni d’archivio.

Il sano rock’n’roll all’americana di cui Petty è stato l’alfiere, anche più di taluni suoi maestri, continua ad essere linfa vitale per tutti gli amanti del genere. I Dirty Knobs sono la side band di Mike Campbell, chitarra e di tanto in tanto sparring partner di Tom in sede di composizione, nonché il pard più presente anche nei dischi pettyani al di fuori della famiglia Heartbreakers. Una side band per altro non di recentissima formazione che avrebbe dovuto uscirsene con questo disco (prodotto da George Drakoulias) proprio un anno fa e che poi per pandemici motivi è rimasta lì col disco finito, come tanti altri, senza possibilità di promozione. Così la BMG ne ha ritardato l’uscita per un po’ di mesi, quando è stato evidente che comunque la promozione rimaneva una cosa aleatoria, si è decisa a pubblicarlo.

Per fugare ogni dubbio diremo subito che è un buon disco, un disco di rock’n’roll come si deve, con le chitarre e il cuore al posto giusto, i riff, il sound e tutto il resto. Certo, nelle note di copertina Campbell parla di canzoni che salvano la vita, e onestamente parlando, nei dischi degli Heartbreakers ce n’era più d’una, qui forse la cosa è un po’ pretenziosa, d’altronde non è detto che ad una canzone si chieda proprio quello, ci si accontenta anche solo che la renda un po’ migliore.

Campbell è stato l’ossatura degli Heartbreakers per tutta la loro esistenza, ma non è Tom Petty, anche se , va da sé, i punti di riferimento sono gli stessi.

Così questo album (doppio vinile) è un buon disco, una dozzina di canzoni di varia ispirazione, qualcuna notevole, qualcuna un po’ più risaputa.

L’inizio è sicuramente da incorniciare, i Dirty Knobs infilano una dietro l’altra due delle cose migliori del disco, due brani di sicura (ma non facilmente scontata) presa: si comincia con la lunga title track, che dopo un’overture psichedelica sfodera un possente riff degno dei migliori Rolling Stones (o dovremmo dire del miglior Keith Richards?) e poi si assesta su un asse sonoro in perfetto equilibrio tra gli Stones e i Byrds, dimostrando la maestria di Campbell nella scelta delle sonorità.

Sempre gli Stones, ma quelli di Honky Tonk Women, con tanto di campanaccio da mucche, sembrano il riferimento di Pistol Packing Mama, border song che beneficia del Farfisa di Augie Meyers e della voce di Chris Stapleton in rinforzo a quella di Campbell. Nulla a che vedere con la classica song country & western dal medesimo titolo, bensì un contagioso riff e ed un altrettanto piacevole refrain, sicuramente una delle cose migliori del disco.

Il primo lato si chiude sul più scontato rock da FM intitolato Sugar, cantato con Petty in mente ma dalla struttura più hard. La seconda facciata si apre col boogie Southern Boy che prosegue sui binari del brano precedente, con più fantasia e con una parte centrale ed un finale che mettono in risalto tutto il talento di Campbell alla sei corde. Sembra esserci una tastiera, ma le note di copertina ne tacciono il suonatore. I Still Love You è una robusta slow ballad che ancora una volta deve molto a Petty ma anche all’AOR in generale. Anche in questo caso il lavoro della chitarra solista è spettacolare, quasi in odor di ballata metal.

Le atmosfere si fanno più intime con il brano che chiude il primo vinile, un brano quasi acustico intitolato Irish Girl, con tanto di armonica (anche qui il suonatore è stato omesso dalle note di copertina), un po’ alla Dylan, o quanto meno al Dylan secondo Petty con echi di McGuinn.

Il secondo disco comincia con Fuck That Guy, breve composizione che mette in evidenza le doti di Mike alla slide, poi c’è un sostanzioso omaggio a John Lee Hooker, con Don’t knock That Boogie, lunga (quasi sette minuti) composizione che partendo da un classico riff alla Hooker sfocia poi in una robusta iniezione di elettricità sfoderata dalla sei corde del leader: e a questo punto lo avrete ben capito, il vero punto di forza del disco è proprio le la chitarra elettrica in tutte le sue manifestazioni.

Anche Don’t Wait si snoda su un riff già sentito, qui siamo dalle parti di Howlin’ Wolf, ma la voce di Campbell non è così ululante. Di nuovo però il chitarrista ci spiazza con la parte centrale in cui di nuovo la sei corde impazza. Anna Lee apre l’ultima facciata in odor di ballata acustica, quasi i Dirty Knobs volessero farci riposare le orecchie, prima del tour de force finale introdotto da Aw Honey, con qualche richiamo ai Del Fuegos, con ospite Benont Tench al piano e di nuovo l’armonica non accreditata, e concluso con Loaded Gun che col duo di brani posti in apertura si attesta tra le cose migliori del disco, ancora rock’n’roll sferragliante e ispirato, ancora chitarre incendiarie.

In fondo al disco troviamo una breve coda in chiave slide di Don’t Knock That Boogie.

Paolo Crazy Carnevale