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STEPHANIE HATFIELD – Out This Fell

di Paolo Baiotti

30 aprile 2020

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STEPHANIE HATFIELD
OUT THIS FELL
Free Box Music 2020

Slanciata, capelli biondi, occhi azzurri, sguardo sensuale, gambe lunghe e tacchi alti: così appare sulla copertina e nell’interno di Out This Fell questa cantante residente a Santa Fe, New Mexico, ma originaria di Detroit, con degli antenati del Kentucky. Il suo viaggio è stato sia fisico che musicale, passando dal coro di chiesa alla classica e operistica, proseguendo con la commedia di Broadway, il jazz e il folk per terminare al rock, seppur pervaso di influenze diverse e moderato da influssi pop. Una voce che è in grado di espandersi con una buona modulazione ispirata da Brandi Carlile, Neko Case e Alanis Morissette, una personalità vivace e un gran numero di interessi e passioni (dalle corse di moto al trekking, dai safari al nuoto con gli squali ai margini della barriera corallina) caratterizzano Stephanie, autrice di quasi tutto il materiale con particolare attenzione ai testi sognanti. La sua carriera è iniziata parecchi anni fa con Stephanie Hatfield And Hot Mess, seguito da due album in studio e da Live At Frogville del 2018, già inciso con la band che comprende il marito Bill Palmer alla chitarra, Noah Baumeister al basso e Matthew Tobias alla batteria. Il rock cadenzato di Day Or Decades in cui duetta con Eliza Lutz alla seconda voce, l’intensa In The Woods in cui è raggiunta da Paul Hunton, voce dei Dust City Opera, il singolo Gone Gone Gone ispirato dai libri di Elena Ferrante (!) e dalla musica di Ennio Morricone in cui Stephanie accenna qualche vocalizzo operistico, Not Her dedicata alla madre e la sentita ballata Never Go Away sono i brani che caratterizzano positivamente un album che ha un’unica cover, la delicata Michigan dei Milk Carton Kids in cui viene aiutata dalla pedal steel dell’esperto Jon Graboff (Ryan Adams, Phil Lesh). Registrato ai Torreon Studios di Santa Fè e coprodotto dalla coppia Hatfield/Palmer, Out This Fell è chiuso da una sognante traccia acustica, Like Sweetness Does, invero un po’ banale come un paio di altre canzoni della seconda parte del disco che ne abbassano la valutazione.