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SON OF THE VELVET RAT – Ghost Ranch

di Paolo Baiotti

12 maggio 2025

SonofVelvet

SON OF THE VELVET RAT
GHOST RANCH
Fluff & Gravy 2024

Son of The Velvet Rat è l’alias scelto per l’avventura solista della coppia formata da Georg Altziebler e dalla moglie Heike Binder. La loro avventura musicale inizia nel 2003 con l’Ep Spare Some Sugar, seguito dall’album By My Side. Dopo un altro paio di dischi ai quali hanno collaborato Ken Coomer (Wilco) e Lucinda Williams, hanno deciso di spostarsi da Graz al deserto del Mojave in California nel 2013, dove si sono uniti alla comunità musicale di Joshua Tree e hanno inciso l’ottavo album in studio Dorado, prodotto da Joe Henry, seguito da un live e da Solitary Company che abbiamo recensito nel 2021, un disco in cui si mischiavano la tradizione cantautorale europea con quella nordamericana e con influenze desertiche, tra folk noir, rock, garage e Americana. Una sorta di ponte tra Europa e America, guidato dalla voce sussurrata e insinuante di Georg, che a tratti incrocia Leonard Cohen e Howe Gelb dei Giant Sand.
Queste sensazioni sono confermate da Ghost Ranch, registrato nuovamente negli studi Red Barn di Morongo Valley in California con la produzione dell’ingegnere del suono e chitarrista Gar Robertson. Si ripetono gli arrangiamenti eleganti e minimali dei precedenti, i curati controcanti di Heike con una strumentazione essenziale e atmosfere di stampo cinematografico e desertico mischiate con melodie mitteleuropee. In più questa volta c’è l’accompagnamento di una band di lusso che comprende nella maggior parte dei brani Jay Bellerose (batteria), Jennifer Condos (basso) e Marc Ribot (chitarra), oltre alla collaborazione della cantautrice folk Jolie Holland (ex The Be Good Tanias) alla voce e violino e di Tony Patler all’Hammond B3.
Ghost Ranch è un disco per chi ama i tempi lenti o al massimo quelli medi e le atmosfere raffinate e rarefatte, espresse in ballate come la struggente e melodica Are The Angels Pretty? in cui non manca un fondo di asprezza o The Waterlily And The Dragonfly (già incisa in passato in veste acustica) tra spruzzate di armonica, strofe sussurrate e una ritmica essenziale, nell’iniziale Bewildering Black & White Moments Captured On Trail Cams, mid-tempo introdotto da un’armonica languida, con una batteria secca e un incrocio di atmosfere europee e immagini cinematografiche, in Beautiful Day venata di psichedelia nel finale chitarristico dissonante, nell’avvolgente melodia di Southbound Plane o nel folk desertico di Rosary con il violino inquietante della Holland e la chitarra western di Ribot. Non mancano un paio di tracce ancora più intime registrate in solitudine da Georg e Heike in un disco affascinante ammantato di mistero, che si apprezza concedendogli la giusta attenzione.

Paolo Baiotti

SON OF THE VELVET RAT – Solitary Company

di Paolo Baiotti

9 luglio 2021

son 2

SON OF THE VELVET RAT
SOLITARY COMPANY
Fluff & Gravy 2021

Son of the Velvet Rat è l’alias scelto per l’avventura solista di Georg Altziebler, coadiuvato dalla moglie Heike Binder. La loro storia è iniziata nel 2003 con l’Ep Spare Some Sugar [For the Rat] seguito dall’album By My Side. Dopo l’apprezzato Animals del 2009 prodotto dall’ex Wilco Ken Coomer, hanno pubblicato Red Chamber Music con ospite in due canzoni Lucinda Williams.   Successivamente hanno lasciato la loro città natale di Graz in Austria per un trasferimento oltre l’Atlantico, stabilendosi infine lungo il bordo del deserto del Mojave in California a Joshua Tree nel 2013, dove hanno inciso l’ottavo album in studio Dorado con la produzione di Joe Henry, seguito dal live The Late Show. In questo ambiente molto particolare e solitario Georg ha scritto delle canzoni che si possono considerare influenzate dalla tradizione cabarettistica di maestri del Vecchio Mondo come Georges Brassens, Jacques Brel e Fabrizio De André, fusa con la passione e le visioni di cantautori del Nuovo Mondo come Townes Van Zandt, Leonard Cohen o Bob Dylan, un misto di folk noir, folk rock, garage rock e Americana.
Il risultato di Solitary Company, inciso negli studi Red Barn di Morongo Valley in California di Gar Robertson che affianca Georg nella produzione, è molto particolare, come un ponte tra Europa e America, guidato dalla voce ghiaiosa e sensuale di Georg, accompagnato dall’organo mitteleuropeo e dalla fisarmonica di Heike nonché da una strumentazione che mischia suoni di roots music con arrangiamenti eleganti e minimali e curati backing vocals. Atmosfere da film noir nella lenta e affascinante When The Lights Go Down in cui la voce ondeggia tra Cohen e Waits si alternano alla ballata folk The Waterlily & The Dragonfly, al folk rock malinconico di Alicia con il violino di Bob Furgo e l’armonica di Heike, al roots rock più ritmato di Stardust, alla mestosità della title track debitrice di Cohen avvolta da un arrangiamento orchestrale, chiudendo con la dolente ballata waitziana Remember Me in cui la slide, l’elettrica e l’organo offrono un arrangiamento di grande fascino.
Un disco da ascoltare nel silenzio della notte, preferibilmente in cuffia.

Paolo Baiotti