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From Sweden With Love…/3

di Dario Blek Medves

16 settembre 2015

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RYAN BOLDT
Broadside Ballads

Oscuro e misterioso, triste e ardito questo sconosciuto ssw riesce a forare con la sua lama fatta di corde, i nostri anfratti più deboli di ascoltanti miracolati da musica così perfetta. Per forza, RB vive in Manitoba e noi di Manitoba conosciamo solo la farina. Ora abbiamo un opzione in più nella vita. Copertina di difficile lettura mentre il bello viene ascoltando. Un cd fatto di poche cose, ma tutte nella maniera giusta, ossia quella adatta a farci emozionare ancora con il folk e altri minuscoli derivati. In sostanza un racconto di miracoli e tragedie passate attraverso la voce granulare del nostro. Ne vale la pena approfondire terreni oramai lasciati alle spalle, da chi vorrei tanto saperlo però. Comunque questo cd è un piccolo gioiello della sera che avvolge il nostro spirito del ritorno a casa dal lavoro. In tangenziale negli uggiosi e bui pomeriggi in coda, deve essere terribile assimilarlo. I nostri aliti che sanno di alluminio, le luci rosse dei freni, il tergicristallo che non scivola e lascia una riga proprio al altezza degli occhi e gli odori della macchina difendono o imprigionano il noi libero e sognante, lasciandoci sul tappeto quello che resta delle nostre vitalità spese in passato, quello che non passa mai. Così vediamo scorrere le nostre gesta mentre suona Rambleaway o Poor Murdered Woman. Noi siamo lì al angolo della settima con la ventinovesima, sudati marci o umidi fradici, nascosti dalla nostra paura di urlare che siamo ancora vivi e rabbiosi e pronti alle sfide della paranoia istituita. A volte credo che siano i cd e in generale la musica adatta alle nostre tempie, la vera ragione di essere noi così e per sempre. Conto su Ryan Boldt, come pure su Townes Van Zant e pochi altri. Voi?

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BARRY OLLMANN
What’ll It Be

La prima song, Imogen Lament, con Graham Nash, mi ha castigato molto. Trattasi di un tema a me caro, ossia la fine del epoca argentea della fotografia. Il racconto di un vecchio sulla veranda che ricorda rullini, libri e bianco e neri oramai spariti. Al posto suo oggi solo immagini col telefono e carriere basate sul nulla e lontane dalla sensibilità manuale del materiale. Camere oscure… e mi vedo giovin in quelle, quando apprendevo a capire la pellicola ed il suo odore. Puzza chimica e afrori bui in quegli anni di grandi esplosioni artistiche che sono state demolite dal avidità creativa di altri fantasmi del bla bla. Restano i ricordi e gli obiettivi, alcune fotocamere scolorite e la nausea da pixel maltrattati. In questa song vedo il mio o nostro declino che il BO racconta in maniera esatta. Cita Stieglitz e Adams ed è come tornare a scuola. Poi infiamma la lacrimuccia disegnando i colori del America in Kodakchrome. Ci lascia in eredità un futuro di ricerche vane a chi capirà il secolo scorso come l’inizio di tantissime attuali ricchezze. Chi ha attraversato la fotografia in quei tempi dalla parte del retro bottega o dalla parte oscura del sensibile saprà ritrovare con questa canzone, qualcosa che lo sappia ancora far ruggire. E se penso a come sia oggi il mondo del analogico è logico che tutto si frantumi, al cospetto della praticità. Ma è veramente questa la ragione? Ho ripreso in mano una SRT101 e mi sono sentito patetico, inconsciamente non tornerei indietro per dover cercare ancora dei Minilab inquinati ed inadatti alle speranza di vendetta. Dimenticavo, a parte questo brano, questo cd cantautorale brilla opaco come ce non sono centinaia e centinaia nel mondo. Senza infamia e senza lode e senza nemmeno poter sperare in un ritorno della Kodak. Alla faccia degli uno e degli zero.

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TOD HUGHES PROJECT
Changing Gears

Quale sia la utilità di un ep lo sappiamo tutti. Quello che al contrario non si racconta è se il suddetto manufatto nel tempo, ridivenga solida produzione oppure realtà prestabilita e di conseguenza fondo di magazzino nei tempi futuri. Questo soggetto ne ha tutte le caratteristiche, quelle ambigue della sorpresa declamata e quella inesorabile di diventare materia da dimenticare, senza che nessun ne pianga lodi e celebri casalinghe adunate in nero. THP è la realtà dei fenomeni inutili, delle sortite anonime e del tutto lontane dai nostri fabbisogni quotidiani di rock and roll. Lui ci prova, forse ci riesce ma di sicuro non scava in noi il solco della impura scelta. Quella del acquisto. Cd di maniera quindi, insipida prova di un goloso di country rock che allieta il petto ed il crine degli asciutti Californiani sbronzi, il venerdì sera. Ecco il suo paradiso, il saloon o il bar room dove scatenarsi coi suoi articoli nascosti e messi sul tavolino dove tre carte leggermente inclinate decidono la serata. Sei brani di cui solo l’ultimo ricorda la meccanica del roll ma senza quel rock, di cui si abbisogna in guisa oraria e diretta. Sarebbe un tentativo che non si trasforma in tentazione, sebbene sia un ep, basta ed avanza. Musica cosi è leggera per noi incatramati e ventruti insoddisfatti della notte, della sera ma anche del pomeriggio in quel ora del sole negli occhi e delle nostalgie southern, che questi THP inesorabilmente, cercano di dimostrare realizzando solo un qualcosa di strasentito, insipido e aggiungo noioso. So and so.

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VV. AA.
Singer Songwriters From Home

La Hemifran, gloriosa label di casa a Sparson in Svezia, ha realizzato un cd di classe elevata che verrà pubblicato dopodomani, 4 settembre. Ha invitato Greg Copeland, Keith Miles, Bob Cheevers e Barry Ollman per celebrare il cinquantesimo anniversario di quel famoso album su Elektra in cui partecipavano i mai dimenticati Patrick Sky, Bruce Murdock, Dave Cohen > David Blue e Dick Farina. Era intitolato Singer Songwriters Project. Al tempo era stata una idea di Jack Holzman, patron della label, quella di radunare quattro ssw diversi tra loro per fissare in eterno, il senso del folk nel universo musicale. D’accordo si era a New York nei primi sessanta e noi eravamo in piena pubertà. Ma dopo mezzo secolo le rose sono fiorite. Alè. La copertina del cd è simile a quella storica, ho tra le mani un pre copia in cartoncino, e il senso del iniziativa, secondo me si riassume oltre al fattore della memoria, anche in quella di regalare ai quatto validi ssw, l’onore del impresa. In fondo sono sempre in giro e sono vivi e vegeti, mi riferisco agli attuali, ovviamente. Un cd che non va giudicato, e nemmeno letto attraverso il senso smillo della neve. Bisogna solo lasciarsi andare alle ruvide screpolature del tempo e alla storia del folk, la stessa che ha disegnato nelle nostre trippe il senso della vita che supportiamo. È un cd da mettere in macchina restandoci per tanto tempo. Racconti, storie ed anfratti slide con angolo cottura ben areata, sono la costante del impresa scandinava. I nostri paladini sono forti freschi e sempre decisi a non cadere nelle fessure della mediocrità. Trovandolo lo comprerete sicuramente, ascoltandolo sarete di nuovo voi come sempre, e giammai come tanti altri. Evviva i singer songwrites di ieri e di oggi.

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LYNN JACKSON & CHRIS BOYNE
The Acoustic Sessions

Questi cd mi fanno venire l’orticaria. Non perché siano inutili o altro, ma per la semplice ragione che noi qui, in questo paese, non possiamo capirli e immaginarli nel loro vero senso di esistenza. Dobbiamo adeguarci alle possibili varianti che mai saranno esatte e che mai saranno nostre. Se ci siamo fortificati con il folk e con il country rock, ora ci spappoliamo con i residui di quella fioritura. A ricordarcelo invisibili mestieranti di terre lontane e oramai dimenticate, se non del tutto sepolte. Ma cosa ci fa Norman Blake in questo cd suonando lo shaker? Il declino è presente e fetente, e il resto della menata bucolico casereccia è tutta qui, nella loro bravura perfettina, nella loro limpida pulizia dei bagni e aggiungo le lenzuola fresche di bucato. Coppietta da tenere distante questi LY e CB. Figli della plastica fiorita. Tutto scivola via in maniera libera da grigiori e pus, si splende di luce adamantina nei solchi algidi di brani sempre uguali e sempre oliati a dovere, con le sapide corde del suo lui. Non sono soli comunque, si ascoltano anche gli altri strumenti del imprinting legnoso, i classici che fanno tanto vintage cello, pedal steel e resonator etc. Ma de chè? Una melassa effervescente che si ascolta, ma anche si butta. D’altra parte ognuno ha le orecchie a modo suo e su questo non si discute. Definire pezzi decenti ed altri opachi non ha senso tutto il cd è lineare e superficiale, certo a capire benissimo i sensi delle parole sarebbe un altro discorso, ma noi che siamo nervosi e gastrici nelle ore del ascolto pattuito, un cd così non resiste molto nel lettore. È non è brutto, è solo troppo prefetto tanto da risultare privo di difetti. Quindi non rimane in memoria e la palla rimbalza sulla eterna domanda, perché?

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JACK TEMPCHIN
Learning To Dance

Eccolo qui, il mai dimenticato JT, artista che con una canzone si è piazzato nel paradiso fiscale del folk edulcorato e al sicuro dai malanni del blues rivisitato. Ho riascoltato i suoi precedenti lavori, il suo debutto coi Funky Kings su Arista AL 4078, del 1976, poi il suo omonimo sempre sulla stessa label AB 4193. Aggiungo anche il cd del 1993 su Taxim numero TX2009, After the Rain assieme ai Seclusion, band composta da certi Glenn Frey, JD Souther, Mike Finnigan, David Crosby e Timothy Schmit. Della serie, voci nuove. Quindi un grande nome ed un grande paroliere. Questo suo ultimo immagino album resta un discreto esempio di ssw che nelle nostre periferie mentali si colloca come un rettile senza fissa dimora. Ad un ascolto frettoloso non esala la sua qualità di contenitore denso ma dopo una ripetuta analisi sonora, la seconda, si percepisce che anche con questo album JT, sa cosa dice. Peccato che non capisco io, umile fanzinaro che spera sempre di trovare la lux della fiat, senza dover aspettare la fine dei suoni. Per cui devo sforzarmi ad essere più californiano. Ma dove! Questo cd è adatto a chi si riposa in ambiti dove velluto e hi-fi spadroneggiano alla grande, musica salottiera senza colpo ferire. Lui oggi è un canuto hobo di lusso e noi siamo solo canuti. I brani sono belli soprattutto la bonus track, che bello sembra un regalino alla folla, alla plebe in coda davanti ai record shop. Sorta di multipli che aspettano il contentino della sera da parte di un grande che, se lo è stato, lo fu solo per una botta di culo. Certo la pacifica facile sensazione di quei giorni si è fossilizzata e noi col martellino da geologo, siamo ancora qui a sgretolare cd di cui nessuno ne sentirà più la necessità. So di sbagliare ed il martelletto lo lascio a quel tipo della tv di cui non ricordo il nome, Tozzi credo. Ecco questi cd sono per persone di questo genere. Ora sapete cosa fare coi martelli. Oltre a quello che sorge spontaneo.