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ROOMFUL OF BLUES – In A Roomful Of Blues

di Paolo Crazy Carnevale

3 aprile 2020

roomful of blues[91]

ROOMFUL OF BLUES – In A Roomful Of Blues (Alligator/IRD 2020)

Decisamente poca fantasia nella scelta del titolo, d’altronde quando si è sulla breccia da oltre cinquant’anni e da più di quaranta si fanno dischi, può anche starci.

Certo la fantasia non è la dote principale che si richieda ad una formazione come i Roomful Of Blues, formazione dedita ad un blues onestissimo che nel corso di tanto longeva attività ha contato più componenti che dischi (ben venticinque album tra studio, live e antologie, gli ultimi cinque in seno all’Alligator).

Tant’è: della formazione originale non è rimasto nessuno, ma c’è il sassofonista Ron Lataille che è nel gruppo dal 1970, e quindi ha preso parte alle registrazioni del primo disco, nel 1977, e c’è il chitarrista Chris Vachon, che è arrivato nel 1990 ed è poi quello che tiene salde le redini della band: una piccola big band dedita al blues in tutte le sue articolazioni. Vi troviamo sfumature soul, elementi swing, un po’ di New Orleans sound, stile di Chicago, echi rhythm’n’blues suggeriti dai fiati.

Non c’è da stupirsi se gran parte della fortuna il gruppo se la sia costruita in Gran Bretagna e in Europa, in epoca in cui il blues dei padri originali latitava o era in disarmo (gli anni ottanta sono stati un decennio nero per il genere, se escludiamo il fenomeno Stevie Ray, ma lui era su un altro pianeta).

Quello dei Roomful Of Blues è un po’ un blues enciclopedico, da palestra (vi hanno militato negli anni futuri personaggi di vaglia come Lou Ann Barton, Ronnie Earl, Duke Robillard e l’immenso Curtis Salgado), il blues per tutti potremmo dire, quello ben suonato ma senza troppe pretese: tutto suona già sentito e la voce duttile del cantante Phil Pemberton, pur adattandosi alle varie situazioni non convinca sempre del tutto. Niente da dire sulla chitarra di Vachon invece che a buon diritto è il band leader e l’autore di buona parte del materiale, composto prevalentemente con Bob Moulton, componente aggiunto.

Il disco scivola piacevolmente senza però destare entusiasmi particolari: c’è la ballad (She Quit Me Again), e c’è una scorribanda nello zydeco (Have You Heard), il jive (She’s Too Much e Too Much Boogie), il boogie (We’d Have A Love Sublime), lo slow blues jazzistico (Carcinoma Blues).

Se la musica vi serve come sottofondo per viaggiare o farvi la doccia, troverete in questo prodotto un buon viatico, ma sinceramente allora nel catalogo Alligator degli ultimi anni ci sono dischi ben più interessanti e stimolanti.