RHIANNON GIDDENS – You’re The One
di Paolo Crazy Carnevale
7 novembre 2023
Rhiannon Giddens – You’re The One (Nonesuch 2023)
Non credo sia un caso che due dei migliori dischi di quest’anno siano dischi di donne e che entrambi siano pubblicate dalla Nonesuch, prestigiosa etichetta del gruppo Warner (l’altro è il nuovo disco di Molly Tuttle).
Due dischi di genere diverso ma ugualmente pregni di buone sonorità e suggestioni.
Rhiannon Giddens ormai è sulla scena da una ventina d’anni, dagli esordi con i Carolina Chocolate Drops ai bei dischi da titolare, passando per i progetti a più teste come New Basement Tapes, Our Native Daughters e i più complessi prodotti orditi e condivisi col marito Francesco Turrisi.
Questo nuovo disco è il primo in sei anni da solista con brani originali e suonati con una band alle spalle, l’attesa era dunque molta visti i precedenti (pensiamo allo spettacolare Freedom Highway, tradizionale e innovativo al tempo stesso, indubbiamente il capolavoro della Giddens).
E l’attesa non è stata disattesa, se mi passate il gioco di parole, le diverse percentuali di sangue che scorrono nelle vene di questa artista, da quello celtico a quello nativo, senza dimenticare l’alta percentuale black, si mescolano tra le tracce del disco dando vita ad una sequenza di canzoni memorabili, se non quanto quelle del suddetto predecessore, molto vicine a quel risultato.
Il disco prende subito bene, ma ascolto dopo ascolto ha pure la tendenza a crescere d’intensità e bellezza.
Si parte in quarta con l’energica Too Little Too Late Too Bad in cui la Giddens dispiega le corde vocali su un accompagnamento adeguato che garantisce subito la presa, e anche se nel brano successivo il ritmo rallenta, la qualità resta altissima, la title track è una delle cose migliori del disco (ma non dimentichiamo che tutto il disco è grande), una composizione misurata e densa di profumi musicali, con l’amica Leila McCalla ospite al violoncello.
E che dire di Yet To Be, il duetto con Jason Isbell, una perla di composizione in cui ritmi nativi e atmosfere irlandesi si miscelano come il sangue nelle vene della Giddens dando vita ad un brano multiforme per nulla ripetitivo.
Wrong Kind Of Guy, per quanto all’ascolto sembri essere un ripescaggio da tempi lontani è tutta farina del sacco di casa Giddens, una splendida soul ballad con l’organo di Dwayne Bennet che ci riporta agli anni sessanta, la titolare ci mette il banjo, e ci sono archi e fiati a fare il botta e risposta come nella miglior tradizione del genere. Another Wasted Life avrebbe potuto essere il main title theme di una qualunque pellicola di James Bond, ascoltatene l’arrangiamento che sembra citare proprio quello stile: a dispetto di tutto è una canzone molto moderna e la voce di Rhiannon si supera, suggellando la chiusura di una facciata A senza sbavature.
La seconda parte si apre con incursioni nella tradizione, un cajun intitolato Hey Louisiana Man in cui la fisarmonica del coniuge (e nostro connazionale) e il violino di Dick Powell s’innestano su una ritmica mai scontata e datata, concedendo nel finale spazio anche all’organo Hammond.
Gli strumenti tradizionali sono l’ossatura anche della seguente If You Don’t Know How Sweet It Is, altra composizione in bilico tra tradizione e modernità che ci conferma ulteriormente la statura di questa autrice che non finisce mai di stupirci.
Ritmi voodoo e latenti suoni calypso sono invece l’abito scelto per Hen in The Foxhouse che sembra uscire dai primi dischi di Dr. John, ancora con il suono della fisarmonica di Turrisi e con le percussioni in evidenza, senza dimenticare un testo non banale e la resofonica del produttore Jack Splash. Who Are You Dreamin’ Of, scritta con Dick Powell, ci consegna una Giddens in versione crooner a cui con naturalezza fa seguito un brano d’atmosfera dixie swing, You Put The Sugar In My Bowl.
La conclusione è un blues d’impronta zydeco che riporta alle vecchie produzioni della cantautrice, Way Over Yonder ha alle seconde voci Lalenja Harrington, il coautore è Keb Mo, e le chitarre acustiche in stile blues si mescolano con violino e fisarmonica trascinando il disco al suo epilogo, consistente nei quarantacinque secondi del tradizionale Good Ol’ Cider, autentica down home music che pare catturata sul ballatoio di una casa di campagna.
Paolo Crazy Carnevale