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PETER OXLEY & NICHOLAS MEIER – Chasing Tales

di Paolo Crazy Carnevale

28 luglio 2015

oxley e meier chasing tales

PETER OXLEY & NICHOLAS MEIER
Chasing Tales
(MGP Records 2014)

L’avvertenza del popolare settimanale britannico “The Observer” è perentoria: “Non cadete nell’errore di liquidare questo disco come una raccolta di semplici cose da jazzisti o da chitarristi. Se amate la musica di qualunque genere probabilmente ve ne innamorerete”.

E certo, le definizioni di noi pennivendoli del pentagramma vanno prese sempre con le pinze – come insegnava Frank Zappa quando con un po’ di esagerazione soleva affermare che scrivere di musica è come danzare di architettura – però è anche vero che questo disco recentemente rilasciato dai due chitarristi inglesi Peter Oxley e Nicholas Meier ha quel quid che gli consente di piacere a platee più vaste di quelle più selettive dei jazzofili – alle quali il vostro scribacchino non appartiene di certo – o dei semplici cultori delle prodezze da chitarristi. E il genere non è neanche riconducibile troppo filologicamente alla fusion, quella cosa astratta che può essere definita ironicamente il “jazz per tutti”.

I due d’altronde vantano un curriculum vitae che lascia a bocca aperta: Oxley è sulla breccia da oltre vent’anni ed ha inciso ben quattrodici dischi a proprio nome, Meier, titolare di un proprio gruppo che ha diviso il palco con gente come Bill Evans e Brad Mehldau, al momento fa parte della band di Jeff Beck, e detto questo credo non serva aggiungere altro!

Il disco, composto, prevedibilmente, da dodici brani strumentali (undici composti dal duo in separata sede ed uno firmato dal turco Asik Veysel) è stato concepito, registrato mixato e pubblicato in un arco temporale molto breve, tre mesi, e vede i titolari dilettarsi in una serie di fraseggi passando da una chitarra all’altra, con effetti, senza, elettriche, chitarre jazz, acustiche, dodici corde, corde di nylon o d’acciaio, slide, fretless e molto altro, incluse incursioni di synth (talvolta indigeste al vostro recensore).

Ma non si tratta di una semplice vetrina di tecnica e di bravura, come dicevo in apertura. Il lavoro dei due è molto spaziale, sfiora momenti progressive ma, come si conviene alla fusion più interessante, non dimentica di farsi contaminare qua e là dall’elemento etnico, non come nel caso di altri artisti analoghi presentati in queste colonne (pensiamo agli indonesiani che incidono per la Moonjune), ma con riferimenti meno precisi eppure piacevoli, più quando ad essere esplorate sono le tradizioni musicali orientali che non quelle latine. Ecco quindi che un brano come Tales (la firma è qui quella di Meier) si innalza e pur nei soli cinque minuti scarsi della sua durata riesce ad inebriare e aprire un sacco di prospettive all’ascoltatore, come l’incipit acustico di Serene, lunga dissertazione strumentale quasi in odor di classica o ancora Riversides. Fino ad arrivare al brano turco che chiude il disco, quello di Veysel.