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MILLPOND MOON – Time To Turn The Tide

di Paolo Crazy Carnevale

10 settembre 2015

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MILLPOND MOON
Time To Turn The Tide
(Tikopia Records 2015)

Nella mia lunga frequentazione del repertorio dylaniano credo di aver ascoltato centinaia di versioni delle canzoni del menestrello rivisitate da vari colleghi, a volte illustri, altri misconosciuti: alcune erano pedisseque riletture, altre buone reinterpretazioni, altre ancora geniali colpi da maestro. Sinceramente non pensavo di trovare una Forever Young di questo calibro, per me le due versioni incise dallo stesso Dylan su Planet Waves erano già il top, e invece eccomi qui ad incensare la cover con cui questo duo svedese di nome Millpond Moon apre il proprio nuovo disco. Kjersti Misje è dotata di una buona voce, Rune Hauge (suppongo la mente del duo) ha una voce che ben si mescola con quella della sua partner e suona la chitarra con gran gusto e savoir fair. Per realizzare questo gioiellino acustico si fanno aiutare da qualche connazionale e da alcuni americani che rispondono ai nomi di Ricky e Ronnie Simpkins e Kenny Malone e il risultato è esemplare, tre quarti d’ora circa disseminati nell’arco di dieci canzoni (o viceversa se preferite), rette magnificamente dai suoni acustici della chitarra di Hauge e da vari mandolini, violini mandole, dobro, celli, bassi acustici: se non fosse per le leggere percussioni di Malone e per il piano presente in un brano si potrebbe dire che ci troviamo di fronte alla quintessenza degli strumenti a corde. Oltre al brano di Dylan ci sono composizioni originali di buona caratura come Wind Of Plenty, la title track un po’ in odore di old time, Wind Of Plenty, l’ottima Lena Baker con una bella alternanza vocale dei due protagonisti: gran folk contemporaneo, ma anche bluegrass, se non altro per l’approccio strumentale, non certo per quanto riguarda il cantato che si distacca parecchio dall’erba blu del Kentucky.

Ci sono anche un paio di altre cover di rilievo, All La Glory della Band e il tradizionale Wayfaring Stranger che vanta decine di riproposte, ma alla fine quello che conta, che emerge, è la capacità della formazione di creare un suono proprio, uniforme, sia che si suonino canzoni originali, sia che si rileggano quelle altrui. Ed è già un grandissimo pregio!