MENDOCINO QUARTET – Way Out There
di Paolo Crazy Carnevale
18 maggio 2018
MENDOCINO QUARTET – Way Out There (2017)
Prendete un’amena località nel nord della California, con le scogliere a picco sul mare e i boschi alle spalle dei centri abitati, portateci a vivere quattro artisti di diversa estrazione, un paio dal passato addirittura glorioso, l’altro paio onesti musicisti nonché autori e strumentisti, tutti col gusto comune per le buone atmosfere acustiche senza fronzoli (ma alla bisogna sarebbero capaci di garantire anche sonorità elettriche), shakerate per bene ed avrete questo quartetto di provincia che da alcuni anni, quando ne ha voglia e tempo, si diletta ad animare le serate di Mendocino, Caspar, Fort Bragg, Ukiah e dintorni.
Steve Bates, David Hayes e Gene Parsons negli anni novanta sono stati i tre quarti di una popolare band della zona, la Steve Bates Band, titolare di un doppio live purtroppo da anni irreperibile se non in formato download, ma se i loro nomi vi dicono qualcosa di più, non siete fuori strada, David Hayes è stato bassista di Terry & The Pirates, della band di Jesse Colin Young e soprattutto lo è stato in studio e dal vivo del gruppo di Van Morrison (dalla Caledonia Soul Orchestra fino al recente Astral Weeks Live), Gene Parsons invece (che nella Steve Bates Band suonava la pedal steel e cantava), è proprio quello dei Byrds e in seconda battuta dei Flying Burrito Brothers. A loro, da un po’ di tempo in qua si è aggiunta la giovane cantautrice Gwyneth Moreland, dando così vita ad un quartetto acustico che prende il nome dalla zona in cui vivono e lo scorso dicembre ha debuttato con questo delizioso CD.
Il disco si apre con la bella Sing Out, una sorta di flashback sulla musica popolare americana (tenendo conto che anche il rock va considerato tale), cantata da Bates, ma sorretta da un coro da brivido armonizzato dalla Moreland e da Parsons, la cui voce fa ancora venire i brividi dalla bellezza. Poi è la volta di una rilettura, ad opera della cantante, della tradizionale The Cuckoo, ed anche qui Parsons fa miracoli nei cori, oltre ad occuparsi del banjo, mentre Bates si occupa delle chitarre e Hayes del basso. È Hayes l’autore del brano seguente, Keep On Keepin’ On, con la Moreland alla fisarmonica e i soliti (ormai possiamo dirlo) cori da urlo. Protagonista della quarta traccia del disco è Gene, che canta finalmente da solista e suona il banjo, si tratta di Way Out There, una composizione di Bob Nolan che aveva già affrontato nel suo secondo disco, nel lontano 1979, ed eseguito per il pubblico europeo nel tour con i Peace Seekers del 1984, questa versione è a dir poco struggente, probabilmente meglio di tutte le altre sentite in precedenza. Steve Bates è il protagonista assoluto dell’intima Love For Me, un brano quasi in punta di piedi, con la fisarmonica e i cori della Moreland, autrice e voce di Western Shores, un brano dall’andatura al trotto, piacevole, banjo, chitarra e basso in evidenza e un break di mandolino ad opera di Bates.
I Belong è un altro brano di Bates, leggermente dylaniano, ben giocato sugli intrecci vocali tra lui e Gwyneth e con una parte centrale di banjo che rende pienamente merito allo stile di Parsons. Hayes dà invece voce ad un poco noto brano di Woody Guthrie intitolato Dead Or Alive con una parte strumentale in cui il banjo jamma con la chitarra e la fisarmonica, mentre i cori di Parsons e della Moreland fanno eco alla voce del protagonista. Gwyneth firma la traccia successiva, Send Me Back Home, Hayes ci mette un gran basso mentre Bates e Parsons si occupano delle chitarre e dei cori.
Per il finale il quartetto sfodera una bella cover di In My Hour Of Darkness (di Gram Parsons e Emmylou Harris), affidandola alla voce di Gene, che la interpreta facendo venire la pelle d’oca, soprattutto se pensiamo che una strofa è dedicata al suo vecchio compadre Clarence White: il basso e la fisarmonica in sottofondo, le chitarre che suonano proprio come quelle che avevano caratterizzato Kindling, il primo fantastico disco solista di Gene uscito nel 1973, e la voce che fa letteralmente sognare. Forse l’ho già scritto in altre occasioni, ma è davvero un’interpretazione da applausi a scena aperta!