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LOAFER’S GLORY – Loafer’s Glory

di Paolo Crazy Carnevale

24 gennaio 2018

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LOAFER’S GLORY – Loafer’s Glory (Arhoolie 2012)

Se esistono dischi di una bellezza disarmante, questo debutto nonché unica pubblicazione del quartetto Loafer’s Glory rientra sicuramente nella categoria.

Mi spiego: non è solo un disco ben riuscito, ben registrato, ben prodotto. Loafer’s Glory va oltre, è un tributo ad una musica forse di nicchia, quale è il bluegrass, un tributo al bluegrass vero, quello più tipico, senza artifizi di alcun tipo e nei vari ringraziamenti all’interno i quattro componenti del gruppo (i veterani Herb Pedersen, Bill Bryson e i più giovani Tom e Patrick Sauber, padre e figlio) esprimono gratitudine a tutti, ma proprio tutti, i pionieri del genere da Bill Monroe in giù. Chitarra, banjo, mandolino, violino, contrabbasso e soprattutto un amalgama di voci che mettono i brividi, sia che la parte solista la domini il superlativo Pedersen, sia che siano i due Sauber o addirittura il quartetto all’unisono.

L’impressione è quella di trovarci in un ambiente confortevole come il salotto raffigurato in copertina, anche se le note di copertina ci dicono che è registrato al Rainbow Garage di Sherman Oaks, California, sotto la guida di Rick Cunha che in tempi lontani ha fatto parte della band di Byron Berline. La ricetta non è nuova, si tratta di quel bluegrass progressista (come lo chiamavano una volta), quello dei Kentucky Colonels, dei Dillards o della Country Gazette che tra anni sessanta e settanta portò il genere all’attenzione del pubblico più vasto del rock’n’roll o del country rock: un misto tra la tradizione appalachiana ed il gospel, con un risultato eclatante. Con delle voci come quelle a disposizione, il quartetto si concede un solo brano strumentale, l’iniziale Crow, Little Rooster, poi si va subito col cantato ed è Pedersen a fare la parte del leone in The Legend Of The Johnson Boys, brano dalle implicazioni molto old time, poi è la volta di un omaggio in chiave gospel ad Hank Williams con May You Never Be Alone, il brano tradizionale Let Me Fall è invece bluegrass allo stato puro, un’autentica mitragliata di note in cui gli strumenti s’inseguono in maniera insuperabile. Dal repertorio della Carter Family viene Sweet Heaven In My View, mentre Banjo Pickin’ Girl, altro tradizionale è uno dei momenti migliori del disco, che però – va detto – non ha momenti deboli.

Di nuovo gospel quello che troviamo alla base di I’ll Be Alright Tomorrow, mentre il country folk è la matrice di Milwaukee Blues, cantata dai due Sauber e impreziosita da una serie di bei break strumentali. Il brano più rilassato è The New Partner Waltz firmato da Ira e Charles Louvin, il bluegrass al fulmicotone torna con Just To Ease My Worried Mind. La terna di brani che chiudono il disco parte con la banjo song Otto Wood The Bandit, dalle atmosfere più appalachiane che mai, a seguire Ridin’ The L&N, l’unico brano originale del disco (la firma è di Bryson che è anche voce solista qui) autentica canzone ferroviaria in cui il violino di Tom Sauber replica lo sferragliare della vecchia locomotiva; poi il finale gospel a quattro voci di Is There Room For Me, con gli strumenti davvero in punta di piedi per lasciare il palco alle quattro splendide ugole.