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GREEN LEAF RUSTLERS – From Within Martin

di Paolo Crazy Carnevale

19 maggio 2020

Green Leaf Rustlers - From Within Marin 1[202]

GREEN LEAF RUSTLERS – From Within Martin (Silver Arrow 2020 2LP)

Con una bella copertina gatefold ed un contenuto decisamente all’altezza, esordisce questa all star band che a dispetto dei nomi coinvolti ama esibirsi quasi esclusivamente nella California settentrionale ed in contesti ristretti, proponendo un repertorio basato su cover non troppo risapute o comunque rilette con grande gusto e con eccellente attitudine all’improvvisazione.

In realtà, se non fosse per la bella confezione e la buona registrazione (opera di quella Betty Cantor che per anni ha curato il sound dei Grateful Dead), il doppio LP in questione , composto da dieci brani, si presenta assai scarso quanto ad informazioni, come i vecchi bootleg: non ci sono indicazioni su dove sia stato registrato (ma è un live), non ci sono i nomi dei musicisti e non sono indicati nemmeno i nomi degli autori dei brani.

Ma chi se ne frega, se il disco è bello a noi può anche bastare, a confermarne l’ufficialità c’è comunque l’etichetta: la Silver Arrow è infatti la casa discografica di famiglia dei Black Crowes e della Chris Robinson Brotherhood, cosa che va a svelare l’arcano. Infatti questi Green Leaf Rustlers altro non sono che un side project di Chris Robinson, un gruppo che si diverte jammando su brani considerevoli che spaziano dal blues al rock’n’roll al country rock, indifferentemente, potendosi permettere di improvvisarci sopra e inserire parti ampiamente dilatate proprio nello stile dei Grateful Dead.

Con Robinson ci sono Pete Sears al basso (ricordate i Jefferson Starship del periodo d’oro?), Barry Sless alla pedal steel e all’elettrica (già con i Dead Ringer e la David Nelson Band), il batterista John Molo (a lungo con Bruce Hornsby e in seguito anche con Phil Lesh) e il chitarrista Greg Loiacono (Mother Hips): tutta gente che sa il fatto suo insomma.

Il disco si apre con una stratosferica rilettura di Big Mouth Blues, composta da Gram Parsons per il suo primo disco solista: la versione che ne danno i Green Leaf Rustlers è compatta, possente, la chitarra di Loiacono e la pedal steel di Sless sono incendiarie e Robinson canta come solo lui sa fare. Il brano era un bel brano già per conto suo, ma questa versione è probabilmente superiore anche all’originale. Non so dirvi molto di Groove Me, nel senso che non so da dove sia stata pescata, ma è perfettamente all’altezza della situazione, una composizione in stile rhythm’n’blues che già dal titolo dice tutto, filtrata in chiave jam con le chitarre che impazzano rincorrendosi. Chiude il primo lato del primo disco una canzone che a Robinson piace molto, No Expectations dei Rolling Stones è stata a lungo nelle setlist dei Black Crowes e qui viene riproposta per l’ennesima volta in tutta la sua bellezza, guidata dal basso di Sears lascia molto spazio a Sless e al suo strumento che qui sembra citare lo stile del Jerry Garcia periodo New Riders Of The Purple Sage, ma anche l’elettrica di Loiacono riesce a trovare spazio per un breve intervento.

Voltando il disco ci troviamo al cospetto di una di quelle chilometriche escursioni musicali che parte da una jam strumentale che ricorda molto da vicino certe cose dei Dead (tipo le improvvisazioni dei brani della prima parte di Blues For Allah), la jam sfocia però poi in una riuscita rilettura di Folsom Prison Blues a cui il pubblico reagisce con calore, il classico di Johnny Cash diviene spunto per ulteriori spunti solisti che mettono in evidenza la differenza di stile tra il veterano Sless e il più giovane Loiacono, dal canto suo il batterista John Molo è una certezza e il lavoro al basso dell’ex Jefferson sembra voler citare l’irruenza di un altro bassista di casa Jefferson, il grande Casady. La dilatazione del brano però non termina qui e il cavallo di battaglia di Cash va inaspettatamente a sfociare, dopo una divagazione orientaleggiante, in That’s Alright Mama, il primo singolo di Elvis qui in edizione sferragliante con un Chris Robinson davvero indiavolato.

Il secondo vinile si apre con Standin’, composizione del grande Townes Van Zandt rilette con ritmi errenbì che si mescolano ad atmosfere country gospel (la versione ricorda molto Will The Circle Be Unbroken), come a voler dire che i Green Leaf Rustlers non hanno timore a confrontarsi con nessuno, e le chitarre danno l’ennesima prova della loro creatività. A proseguire poi i cinque si cimentano con una bella rilettura della dylaniana Positively 4th Street, cantata da un Robinson quanto mai ispirato, bello il lavoro di Loiacono, Sless invece si diverte ad imitare il suono delle tastiere lavorando coi pedali del suo strumento, secondo una lezione vecchia di cinquant’anni impartita da Rusty Young fin dal primo album dei Poco.

L’ultima facciata di questo From Within Marin è inaugurata da Ramblin’ Man un brano reso celebre da Waylon Jennings che il gruppo esegue con piglio incalzante, quasi fossero i Grateful Dead a suonarlo, quasi un ennesimo pretesto per concedersi una jam che dopo un rallentamento dei ritmi va tuffarsi in Ride Me High di J.J. Cale, riveduta con incredibile estro deadiano dando modo a tutta la band di mettersi in mostra in tutta la sua bravura.

Non sappiamo se un disco così avrà mai un seguito o se sia stato solo un divertissement, se i Green Leaf Rustlers vorranno cimentarsi anche con brani di studio e originali, pare che ora Chris Robinson sia imbarcato nella riappacificazione col fratello Rich e nel far ripartire i Black Crowes, ragion per cui godiamoci a lungo questo doppio e la sua vitalità.