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GLENN HUGHES: Asti, P.zza della Cattedrale, 9/7/2019

di Paolo Baiotti

15 luglio 2019

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Nato nel ’52 a Cannock nello Staffordshire, Glenn Hughes è salito alla ribalta nel ’70 come bassista e cantante dei Trapeze con i quali ha inciso tre albums. Notato durante un concerto da Jon Lord, fu chiamato a sostituire Roger Glover nei Deep Purple, facendo parte della formazione nota come Mark III (Lord, Blackmore, Hughes, Coverdale, Paice) che incise nel ’74 due classici come Burn e Stormbringer e poi, dopo la defezione di Richie Blackmore infastidito dalle eccessive influenze funky-soul apportate da Coverdale e Hughes, della formazione Mark IV con Tommy Bolin alla chitarra. Questa line-up pubblicò un solo album in studio, il controverso Come Taste The Band del ’75, prima dello scioglimento provocato dai problemi di droga di Bolin e anche di Hughes.
Dopo l’esordio solista del ’77 Glenn ha attraversato un lungo periodo di confusione caratterizzato dalla dipendenza dalle droghe e dall’adesione a progetti di modesto livello. Nell’85 la partecipazione a Run For Cover di Gary Moore e a Seventh Star di Tony Iommi, uscito su richiesta della label come album dei Black Sabbath, hanno contribuito alla sua ripresa, che però si è veramente concretizzata con l’aiuto di David Coverdale alla fine del decennio. Con l’album Blues del ’92 Glenn riprende in mano la sua vita e la sua carriera che, da allora, è proseguita su buoni livelli, tra dischi solisti, progetti con altri artisti, un secondo disco con Iommi, il super gruppo Black Country Communion con Joe Bonamassa, Jason Bonham e Derek Sherinian e i California Breed.
Sempre molto attivo sul palco, Hughes dal 2017 porta in giro lo spettacolo “Gleen Hughes Performs Classic Deep Purple Live”. Ha suonato ovunque, dall’Europa all’Asia, dal Nord e Sud America all’Oceania, a conferma dell’eterna popolarità dei Deep Purple e della loro musica.

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Nel recente concerto di Asti l’artista ha confermato il suo stato di grazia. Nonostante le 67 primavere, oltre ad essere un bassista duttile e creativo ha ancora una voce pazzesca venata di soul, capace di prodursi in acuti sorprendenti e prolungati. Accompagnato dall’ottimo tastierista Jasper Bo Hanse, dal discreto chitarrista danese Soren Anderson e dal batterista Fer Escobedo, ha intrattenuto per quasi due ore un pubblico abbastanza folto e molto caldo, formato non solo da attempati nostalgici, ma anche da ragazzi che, nonostante tutto, continuano ad apprezzare in buon numero l’hard rock di matrice britannica.

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La partenza incalzante di Stormbringer è stata seguita da un’accoppiata da Burn, Might Just Take Your Life introdotta dall’hammond e il funky-rock Sail Away, jammato nel segmento strumentale. Dopo i primi saluti, il sorridente bassista ha presentato un altro brano da Burn, la trascinante You Fool No One, nella quale sono stati inseriti un blues strumentale, l’assolo di batteria e un richiamo a High Ball Shooter. La sofferta ballata soul You Keep On Moving, scritta da Hughes e Coverdale e tratta da Come Taste The Band, ha messo ancora in luce la voce dell’artista, che ha proseguito omaggiando Tommy Bolin con un’irruente Getting Tighter. Uno dei momenti migliori della serata è stata la lunga versione di Mistreated da Burn in cui anche il pubblico ha fatto la sua parte. Pur provenendo dal repertorio della formazione precedente non poteva mancare Smoke On The Water impreziosita nel finale da un segmento di Georgia On My Mind. L’immortale riff di Burn ha infiammato il pubblico che al termine della vibrante esecuzione del brano ha tributato un’ovazione alla band. Dopo una breve pausa il quartetto è rientrato, Glenn ha lasciato il basso a un roadie e ha cantato Highway Star, seconda traccia della formazione Mark II, che ha chiuso la serata in modo un po’ confuso con il pubblico sotto il palco.
Il concerto di Hughes è stato un’immersione negli anni settanta: hard rock melodico venato di soul e funky, capelli lunghi al vento, messaggi di pace e amore. Nulla di nuovo sotto il sole, ma ogni tanto un ritorno al passato non guasta…anzi!