Un silenzio tombale
di Marco Tagliabue
5 gennaio 2015
FRA LIPPO LIPPI
In Silence
Uniton, 1981
Concepito nella glaciale e disperata solitudine delle brume norvegesi, In Silence, opera prima e irraggiungibile del duo scandinavo composto, all’anagrafe, da Rune Kristoffersen e Morten Sjoberg, porta dentro sé, come un macigno, il peso di un isolamento forzato che non è soltanto fattore geografico. Avviluppato in origine in una copertina spettrale, raffigurante un quartetto di scheletri in un lugubre bianco e nero su sfondo azzurro, poi ristampato con veste grafica completamente diversa prima di sparire per almeno tre lustri fino alla recente ristampa in digitale, pubblicata con altro interessante materiale sotto il titolo di The Early Years dalla prestigiosa Rune Grammofon, In Silence è uno dei misconosciuti capolavori del post-punk europeo. Troppo facile bollarlo come semplice clone dei Joy Division o del coevo debutto dei New Order, cui spesso viene accostato: il genio, quello vero, è merce assai rara e di difficile contraffazione. E di genio, fra questi solchi, ce n’è in quantità. Sarebbe rimasto un episodio isolato nella carriera dei Norvegesi, un po’ come Movement per i mancuniani, che avrebbero conosciuto in seguito un discreto successo grazie ad un electro pop più leggero e sofisticato. In Silence è, se possibile, ancora più cupo ed angosciante dei suoi illustri mentori: sembra non offrire speranze né alternative ai suoi tragici scenari, fino a sancire l’impossibilità di un’evasione. Ritmiche scarne, il basso in evidenza, un cantato monocorde e quasi tombale, la chitarra aspra, a tratti metallica. Dall’incipit di Out Of The Ruins, ossessiva e lancinante, alla disperata rassegnazione della conclusiva Quiet, in cui il senso di abbandono diventa radicale e definitivo, attraverso le note inquietanti di A Moment Like This, The Inside Veil e I Know, le cadenze sepolcrali di In Silence e della sua voce perduta nella distanza, la tragica solennità di Recession e Lost, la certezza unica e indissolubile è che non esista via di fuga. Lo capirono anche i due che, già a partire dal successivo Small Mercies (1983) e più ancora da Songs (1985), furono costretti a reinventare il proprio sound abbandonando i ghiacci eterni di In Silence per un pop romantico e struggente che, nei suoi momenti più ispirati, riuscirà a addolcire in parte il rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
da LFTS n.86