BUFORD POPE – The Poem & The Rose
di Paolo Baiotti
21 aprile 2016
BUFORD POPE
THE POEM & THE ROSE
Unchained 2015
Contrariamente alle apparenze, Buford Pope non è anglosassone. Nasce nel ’71 come Mikael Liljeborg a Gotland, isoletta svedese nel cuore del Mar Baltico, ma come tanti nell’adolescenza si innamora dei cantautori americani, a partire da Bob Dylan e Neil Young. Si trasferisce nel sud del paese all’alba del nuovo millennio ed esordisce nel 2003 con l’album omonimo, seguito da Blood Relatives nel 2010, Too Young To Be Old nel 2011 e Matching Numbers nel 2012, forse il suo disco migliore, nel solco dei cantautori rock sopra citati con l’aggiunta di Tom Petty e Bruce Springsteen. Disco elettrico, stradaiolo, nel quale ballate dolenti si alternano a tracce rockeggianti con qualche incursione nel country, interpretate abilmente dalla voce malinconica e sporcata dal Bourbon, avvicinabile a quella di Rod Stewart.
The Poem & The Rose non è un disco nuovo; è stato inciso nel 2006, doveva essere il secondo album dopo Buford Pope, ma è rimasto nei cassetti per scelta artistica, in quanto Buford lo riteneva troppo influenzato dal country, mentre la sua intenzione era quella di virare verso un suono più vicino al rock delle radici degli artisti già indicati. Adesso ha deciso di pubblicarlo senza modifiche e ha fatto bene, perché è un disco interessante, seppure un po’ monocorde nella scrittura.
L’impronta della tradizione country è evidente nella title track che apre il dischetto, caratterizzata dalla pedal steel di Peter Andersson (che imperversa in tutto il disco) e dal violino di Filip Runesson, presenti in primo piano anche in Talk Of The Town, nella quale si inserisce anche il mandolino di Amir Aly. My Heart Don’t Lie richiama le melodie di The Band, mentre il valzerone Bless These Arms Of Mine non brilla per fantasia. All I Took Was You alza il ritmo, ma non aggiunge molto alla qualità dell’album, che si riprende con la deliziosa ballata At The End Of The Week, nella quale si conferma il cambiamento della tonalità vocale di Buford, più alta e pulita rispetto ai dischi recenti. In Can’t Feel It Anymore Pope inserisce un’armonica rootsy nel tessuto country, mentre I Light Up A Candle ricorda i primi Eagles. Nella parte finale del disco spiccano la mossa Young Girl, un country campagnolo con fisarmonica e banjo in sottofondo e l’intensa If Ties Don’t Bind, molto curata nelle parti corali. Disco non indispensabile, utile a valutare l’evoluzione della carriera del cantautore svedese.