STEVEN GRAVES – All Alone

zz Steven Graves All Alone

STEVEN GRAVES
ALL ALONE
Steven Graves 2021

Californiano di Santa Cruz, Steven ha esordito nel 2010 con Make A New World, proseguendo a incidere con regolarità fino a All Alone, nono album registrato durante la pandemia da solo (da qui il titolo), ma con l’aiuto seppur da remoto della sua band formata da Travis Cruse alla chitarra, Robert Melendez al basso, Bryant Mills alla batteria e Russel Kreitman alle tastiere, nonché con la partecipazione di una sezione fiati, di numerosi coristi, di alcuni session men locali e di Doug Pettibone (Lucinda Williams, Marianne Faithfull, John Mayer) all’elettrica e pedal steel. Come sempre i testi di Steven affrontano temi di attualità e sociali con una vena di ottimismo, molto importante in tempi difficili e confusi come quelli che stiamo vivendo.
Dotato di una voce in grado di giocare su toni più o meno alti e di una scrittura autentica e sincera che lo pone al confine tra il cantautorato folk-rock e l’Americana, Graves parte con l’animato up-tempo Lonely Night venato di sapori caraibici, seguito dalla corale Love Conquers Fear, incitamento a superare le paure anche nei periodi problematici. e da Fire, traccia scorrevole e ritmata scritta durante gli incendi che hanno imperversato in California, con un suono che ricorda i Grateful Dead più leggeri, una delle passioni dell’artista che ha fatto parte del circuito delle jamband, essendo molto apprezzato dall’ex pubblicista del gruppo Dennis McNally. La reggata Angel Came From Heaven e il folk-rock Rita con la fisarmonica di Art Alm completano un quintetto di brani di buon livello, molto promettenti.
Nella parte centrale Steven inserisce tracce più leggere e soft, anche troppo, come You’re The One, l’errebi All Alone e So Far Away (dedicata alla madre) che annacquano l’impatto del disco. Si prosegue con l’errebi jazzato Always Here un po’ alla Steely Dan e con la frenetica I Can Be Free, mentre Rise Together è un mid-tempo che richiama gli Eagles più easy. Dopo qualche alto e basso la chiusura è affidata al roots-rock Sitting Bull con un testo sui torti subiti dai Nativi Americani e sulla necessità di superare le divisioni e alla divertente Good People con il sax di Armen Boyd e una chitarra molto vitale.

Paolo Baiotti

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