DWIKI DHARMAWAN – Hari Ketiga

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DWIKI DHARMAWAN – Hari Ketiga (Moonjune Records 2020)

Ha visto la luce proprio allo scadere dell’anno la nuova e mastodontica operazione discografica ordita dal producer Leo Pavkovic: infatti, se per la verità il disco è attribuito al tastierista/pianista indonesiano Dwiki Dharmawan, a conti fatti lo possiamo considerare un parto collettivo della scuderia Moonjune, con Pavkovic in veste di grande mente dietro il progetto, orchestratore di un’opera ambiziosa, non sempre di facile assimilazione, ma di grande fascino.

Con le dovute proporzioni si potrebbe fare un parallelo con il George Martin di Sgt Pepper, visto che il lavoro del produttore va qui molto oltre l’essere stato in cabina di regia durante le registrazioni. Pavkovic ha trovato nella Casa Murada situata in Catalogna, uno studio con una location suggestiva che ben si presta a stimolare le molte ispirazioni degli artisti della sua scuderia, e nel 2017 all’indomani di due giorni di session per un altro disco di casa Moonjune, Dharmawan, il chitarrista prezzemolino Markus Reuter, il batterista Asaf Sirkis e il cantante camuno Boris Savoldelli (una delle punte di diamante dell’etichetta) hanno lavorato insieme per una terza giornata di session, e proprio “terzo giorno” è il significato del titolo in lingua indonesiana Hari Ketiga.

Un viaggio musicale attraverso sonorità bene distinte e varie che Pavkovic ha subito ripreso in mano ed elaborato, lavorato e assemblato in studio dando forma ad un doppio CD dalle atmosfere suggestive. Un concept dei nostri tempi, all’insegna di sonorità differenti che spaziano dal prog-rock al noise, alla fusion (termine brutto e abusato, ma abbastanza esplicativo).
Se la voce di Savoldelli spesso è uno strumento alla stregua di tutti gli altri, in questo disco va semplicemente oltre, grazie anche ad una collaborazione a posteriori ordita dallo stesso Boris dopo che Pavkovic gli ha consegnato le registrazioni appositamente editate su cui lavorare per il cantato: il vocalist ha infatti coinvolto nell’operazione l’amico, rocker, cantautore e compaesano Alessandro Ducoli, solitamente impegnato su altri fronti musicali, nonché eccellente paroliere, e dopo avergli spiegato l’idea di base del progetto, gli ha proposto di comporre dei testi appositamente per i nove atti che compongono il disco. Così – se in taluni momenti tra le distorsioni chitarritiche di Reuter, le escurisoni del titolare alla tastiera del pianoforte o di altri strumenti e la percussività di Sirkis – Boris si ritaglia momenti in cui il suono della sua voce diventa il quarto strumento, in altre parti (molte) del disco, grazie ai testi di Ducoli che ha cucito una serie di liriche ispirate dalo David Bowie di Space Oddity e dal poeta latino Lucrezio (parliamo di contenuti testuali non di musica), liriche che permettono alla voce del connazionale di cantare i senso più propriamente detto.

In un paio di occasioni, sul secondo disco, con i brani The Truth e The Perpetual Motion il montaggio finale fa sposare la voce di Savoldelli con quelle di alcuni strumentisti vocalisti indonesiani di matrice tradizionale, ripescati dagli archivi di Darmawan, che li ha registrati nel proprio paese all’inizio del decennio scorso, in altre occasioni invece invece le parti cantate si imbevono di grande lirismo, nella conclusiva The Memory Of Things, con le liriche in inglese e il piano ubriaco di Dharmawan, non è difficle pensare a certe cose del primo Tom Waits. Laddove i testi di Ducoli sono invece in italiano viene più facile il paragone con certo progressive rock molto in voga anche nella nostra penisola, pensiamo alla parte finale di The Loneliness Of The Universe, ma soprattutto alle due prime tracce del primo disco, le lunghissime composizioni che lo aprono: The Earth (quasi ventinove minuti) e The Man (ben trentaquattro). Due autentici tour the force in cui la musica si sprigiona e la voce di Boris Savoldelli fa suoi i testi composti da Alessandro Ducoli.

Per quanto le note di copertina e il booklet siano bastevolmente esaurienti sui contenuti dei testi e su come i nostri due connazionali abbiano lavorato al disco, l’unico appunto chge ci viene da fare è che probailmente attribuirlo al solo Dwiki Dharmawan sia stata una scelta riduttiva, visto che si tratta di un vero e proprio lavoro d’equipe.

Complimenti e applausi al regista e a tutti i suoi collaboratori!

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