BOCEPHUS KING – The Infinite & The Autogrill Vol. 1

bocephus-king-the-infinite-and-the-autogrill-vol1-20200225171154[133]

Bocephus King – The Infinite & The Autogrill Vol. 1 (Appaloosa 2020)

Strana la vicenda musicale di Bocephus King… un musicista di gran talento indubbiamente, ma che a giudicare dalle cronache e dalla discografia non sembra avere un seguito particolare dalle sue parti (Canadà) o comunque Oltreoceano: piuttosto invece è acclamato in Italia, o comunque in Europa (uno dei suoi pochi dischi è stato pubblicato negli anni novanta dalla tedesca Blue Rose). Certo, è più facile ritagliarsi una fetta di seguito tra gli appassionati italiani come che in America dove i musicisti di talento abbondano, ma la cosa più di tanto non ci interessa, in fin dei conti è la musica che conta, e in questi ultimi anni di musica in giro per la penisola Bocephus King ne ha seminata tanta, dal vivo poi è una forza della natura, un trascinatore, che è poi quello attorno a cui si è costruita la sua fama italiana. Da sempre, praticamente, è amico di Andrea Parodi che oltre ad essere il responsabile dei suoi innumerevoli tour italici è anche il produttore di questo nuovo disco e il mediatore del contratto con l’Appaloosa.

Diciamo subito che il disco è bello, prodotto con grande gusto, bella la scelta delle canzoni, Bocephus canta molto bene; piuttosto non facciamoci fuorviare dalla scheda di presentazione che dice che Bocephus è figlio del suono di van Morrison, dei Rolling Stones e di Bob Dylan, perché francamente non ho trovato alcuna traccia di queste discendenze sonore, e la cosa penso sia solo positiva, in quanto questo fa di Bocephus qualcosa che va oltre l’avere dei riferimenti. Certo riferimenti ci sono, personalmente a me viene più in mente (per il modo di cantare e anche per qualche scelta musicale) il buon Little Steven.

Il disco, comunque lo si voglia vedere, è un omaggio al nostro paese, fin dal titolo ispirato dall’Infinito leopardiano e dall’Autogrill di Francesco Guccini che si vocifera appariranno sul prossimo volume dalla medesima denominazione: un omaggio che tra le nove tracce vede l’inclusione in lingua inglese di due canzoni di cantautori italiani, ma anche un omaggio che ci presenta una canzone dedicata alla rivista “Buscadero” e alla manifestazione musicale dalla rivista ispirata.

Il disco si apre con i suoni introspettivi di One More Troubadour, brano cupo e triste considerazione su un cantautore/trovatore costretto a cantare davanti ad un pubblico sparuto e indifferente più intento a guardare lo schermo dell’i-phone che a prestargli attenzione, che probabilmente è poi quello che accade a tanti artisti americani in patria, mentre da noi vengono acclamati e portati in trionfo, seguiti, cosa che fa loro amare l’Italia o l’Europa in generale.

In Something Beautiful, dall’iniziale tessuto acustico volto a crescere, c’è ospite alla voce l’amico Parodi, poi il sound esplode nella cavalcata spaghetti western di Buscadero, con ampi riferimenti alle varie edizioni del “Buscadero Day” a cui King ha preso parte negli ultimi anni, come ospite e come animatore, e con una manciata di riferimenti al cinema western all’italiana e alla sua discendenza dai film di Kurosawa, e ai personaggi della storia del west come Annie Oakley e Toro Seduto. The Other Side Of The Wind è una ballata giocata sulle molte chitarre suonate da Bocephus e da Alex Gariazzo (Treves Blues Band), sul piano e su atmosfere messicaneggianti. Di nuovo il cinema è all’origine di John Huston, con ovvi riferimenti al grande regista di origine irlandese, qui a cantare c’è ospite il compagno di scuderia James Maddock. Il primo omaggio alla canzone d’autore italiana è con una bellissima versione di Lugano addio di Ivan Graziani (di cui anni fa King aveva già eseguito dal vivo una versione inglese di Pigro), che qui diventa Farewell Lugano, con la doppia voce di Jane Aurora. Una cover particolare e riuscita, un omaggio ad un personaggio mai abbastanza ricordato della musica italiana. La speranza è che il disco abbia una distribuzione ed un po’ di seguito anche fuori dall’Italia, perché così il senso delle cover di brani italiani sarebbe maggiormente finalizzato.

Identity è una ballata struggente, intima, fluida in cui l’autore si pone una serie di interrogativi. Il secondo omaggio alla canzone d’autore italica è con Crêuza de ma del grande “Faber”. La traduzione è molto riuscita, il brano è ben arrangiato, vocalmente piaceva di più la cover del brano fatta da un altro americano (ma cantata in genovese), Gene Parsons, inserita qualche anno fa in un disco di Beppe Gambetta. Il disco si chiude con l’inno alla vita di Life Is Sweet, brano semplice che invita a vivere la vita con gioia, “dal giorno in cui la nave entra in porto a quello in cui leggono il tuo testamento”.

Tags:

Non è più possibile commentare.