MICHAEL HEARNE – Red River Dreams

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MICHAEL HEARNE – Red River Dreams (Howlin’ Dog/Hemifran 2016)

Uno dei tanti, dei molti, degli innumerevoli: ma quanti ce n’è negli Stati Uniti, di questi talentosi singersongwriter che sfornano deliziosi dischi come questo?

Hearne è un texano che bazzica l’ambiente musicale fin dagli anni settanta dove ha mosso i primi passi nella natia Dallas, la sua specialità sono le canzoni in odor di country e la chitarra acustica che suona con perizia e le cui note escono in maniera cristallina dalle tracce di questo suo disco, in bilico tra cover con pedigree e brani originali in cui non esita a mescolare riferimenti ai suoi amori musicali ed elementi tipici del songwriting di quei posti.

Di dischi ne ha già all’attivo una decina, tra quelli da solo, le collaborazioni e quelli col suo gruppo, i South By Southwest. Navigando un po’ nel suo sito è evidente che a casa sua Hearne abbia un discreto seguito, grazie anche a concerti campagnoli ben frequentati dal pubblico.

In questo Red River Dreams balzano particolarmente alle orecchie la pulizia del suono, la brillantezza con cui gli strumenti acustici giganteggiano: su tutti la chitarra suonata da Hearne stesso come si diceva, ma anche il violino, il mandolino, il banjo e la Weissenborn guitar, tutti strumenti suonati dal produttore del disco Don Richmond che pare qui il partner che fa la differenza, anche se pure gli altri comprimari, siano le coriste Kelley Mickwee e Susan Gibson, la pedal steel guitar di Carmen Acciaioli (a dispetto del nome è un uomo!) e il piano di Jimmy Stadler fanno benone la loro parte.

Echi di Nitty Gritty Dirt Band (sarà perché negli ultimi tempi l’ho ascoltata molto, sarà anche per via che nella title track si nomina palesemente Mr. Bojangles), ricordi del passato, come in Back In The Day, in cui Michael Hearne menziona i tempi spensierati in cui correva con la sua Chevrolet, quando non c’erano pedaggi da pagare sulla Interstate ascoltando Yesterday e For What It’s Worth alla radio o scimmiottando Jimi Hendrix fingendo di suonare la chitarra (quello che oggigiorno si chiama “air guitar”, ne fanno addirittura dei campionati), il tutto ben sostenuto da un bel tappeto di pedal steel. Altrove, complice il modo di suonare il violino, fanno capolino passaggi che richiamano alla mente la musica delle isole britanniche. Tra le canzoni autografe si distinguono particolarmente anche June 25, 2009, Blue Enough e l’ispirata Lesson To Be Learned For Love.

Belli gli approcci alle canzoni dei titolati ispiratori, con menzione d’onore all’incipit di Endless Sky, firmata dal veterano Chuck Pyle e per l’arrangiamento con cui è rivestita Early Morning Rain di Gordon Lightfoot, più nella norma la conclusiva Return Of The Grievous Angel del sempiterno Gram Parsons.

La voce è un po’ zuccherosa, è vero, ma calza alla perfezione per il disco e per le canzoni.

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