KATE CAMPBELL – The K.O.A. Tapes (vol. 1)

kate campbell

KATE CAMPBELL
THE K.O.A. TAPES (VOL. 1)
Large River Music 2015

Figlia di un pastore battista, nata a New Orleans nel ’61, cresciuta nel nord del Mississippi prima di stabilirsi a Nashville, Kate è vissuta in un ambiente pieno di musica, con una madre cantante e pianista e una nonna violinista. Dopo avere studiato piano classico e clarinetto, si è spostata sulla chitarra, coltivando anche l’interesse per lo studio fino alla laurea in storia all’università di Auburn.
Ha debuttato nel ’95 con l’ispirato Songs From The Levee, seguito da una dozzina abbondante di dischi nei quali ha evidenziato le sue capacità di narratrice influenzata nei testi e nelle atmosfere dal retaggio religioso di famiglia e da autori della letteratura americana quali Flannery O’Connor e William Faulkner e nella musica da tradizione folk, country, blues e rhythm and blues. A meno di tre anni da Due South Co-Op, disco inciso con The New Agrarians, band formata con Pierce Pettis e Tim Kimmel, Kate propone una raccolta di brani incisi prevalentemente sul cellulare, nel suo salotto o in albergo, registrazioni casalinghe in alcuni casi completate da successivi interventi di qualche collaboratore come Spooner Oldham alle tastiere, John Kirk al violino, Missy Raines al basso e Laura Boosinger al banjo, mentre Kate suona chitarra e tastiere. Tracce prevalentemente acustiche, molto scarne (a volte anche troppo), alcune precedute da brevi presentazioni, che compongono un puzzle interessante per verificare le influenze e le passioni dell’artista, ma non costituiscono un disco essenziale nella sua produzione. La scelta delle covers denota la passione (inevitabile) per songwriters come Paul Simon (America), Kris Kristofferson (una delicata Me And Bobby McGee) e Richard Thompson (From Galway To Graceland). Tra gli altri brani spiccano la ballata Greensboro, il tradizionale I Am A Pilgrim, l’intima Hope’s Too Hard e The Locust Years dall’album d’esordio. La scelta più sorprendente è posta in chiusura, una cover acustica di Freebird, l’inno dei Lynyrd Skynyrd che, seppure spogliato dell’elettricità delle chitarre (e delle armonie del piano), rimane un brano di spessore.

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