THE RIDES – Pierced Arrow
THE RIDES – Pierced Arrow (429 Records 2016)
Credo di poterlo dire a voce alta, senza tema di smentite, questo secondo disco dei Rides è un’ottima conferma per il supergruppo formato da Stephen Stills, Kenny Wayne Shepherd e Barry Goldberg; non solo, oltre ad essere un bel disco godibile di rock e blues, è sicuramente anche il miglior disco pubblicato quest’anno dalla famiglia CSNY. Bello anche il disco di Nash, certo, in linea con la sua produzione migliore come solista, che però, diciamolo, non è mai stata ai livelli di quella degli altri soci, meno bello e pasticciato il doppio di Neil Young, un live da un suono manipolato troppo in studio che non fa onore alle recenti incendiare performance dal vivo del canadese. Ma non siamo qui per parlare né di Nash né di Young, bensì dei Rides e di questa bomba ad orologeria che si intitola Pierced Arrow. Dice Stills che questa è la blues band dei suoi sogni, ma forse sbaglia, perché i Rides sono molto più di una band blues, in questo disco ci sono anche ballate intense, c’è qualche venatura soul dovuta all’inserimento di coristi e ci sono anche inserti di chitarra acustica tipicamente stillsiani. I brani sono quasi tutti composti in trio o in duo, salvo un vecchio pezzo di Goldberg ripescato dal passato ed una cover di Willie Dixon, il suono è energico, le chitarre sono sferzanti e, soprattutto, Stills e Shepherd interagiscono alla perfezione, mescolando i loro stili con sapienza ed ispirazione, mentre Goldberg s’infila con le sue tastiere che sono a seconda dei casi svisate di pianoforte quasi rockabilly o bordate d’hammond (quelle che preferisco) degne di un maestro quale lui è.
Le parti vocali sono equamente suddivise tra i due chitarristi e qui va detto che Stills è quello che si fa preferire, alla faccia dei problemi alla voce degli ultimi anni. Il brano iniziale è già una certezza, si chiama Kick Out Of It e il texano lo conduce alla grande, un modo azzeccatissimo per cominciare un disco di questo calibro, a seguire c’è la veloce Riva Diva (che reca anche la firma del bassista Kevin McCormick), cantata da Shepherd con grinta e condotta dall’inizio alla fine da un pianoforte contagioso. I brividi salgono ulteriormente con Virtual World che Stills aveva eseguito spesso nell’ultimo tour con CSN lo scorso autunno: già allora si era capito che il brano era di quelli notevoli e la conferma dell’impressione arriva con la versione Rides, una ballatona in classico stile Stills, con passaggi di chitarra da brivido. Non da meno è By My Side altro brano lento, di nuovo con la voce di Kenny Wayne e con Stephen che oltre all’elettrica tira fuori anche la Martin acustica che snocciola passaggi che profumano di vecchia California, quella che non uscirà mai dai nostri cuori. Le voci delle coriste supportano bene il cantato di Shepherd e nel coro si distingue anche Stills, che ne primo break solista infila un suo classico solo elettrico, forse troppo breve. In chiusura del lato A c’è I’ve Got Use My Imagination, composta in epoca remota da Goldberg con Jerry Goffin per Gladys Knight & The Pips, qui la voce è sempre quella dei Kenny Wayne e la versione è solida, con l’organo che impazza e le chitarre che duettano sempre in fase ispirata.
La seconda facciata del disco si pare con il blues sudista di Game On, con la voce di Stills e ancora notevoli spunti per le chitarre, poi segue Mr. Policeman, sempre con la voce del texano e un’andatura più scontata ma impreziosita da un buon uso della voce e dal pianoforte incessante. I Need Your Lovin’ è blues virato verso il rockabilly, la voce di Kenny Wayne è tagliente e le voci femminili lo supportano nel refrain mentre il piano sembra figlio di Jerry Lee Lewis. La perla totale di questa seconda facciata è una lenta blues ballad There Was A Place, con uno Stills ispiratissimo, la batteria di Chris Layton quasi in punta di piedi, l’acustica a contrappuntare, le elettriche ad urlare, i cori insinuanti e l’hammond protagonista: oltre ad essere il brano migliore della seconda facciata è una delle più belle canzoni del disco, suonata con le contropalle da questa band che convince sempre di più.
La chiusura è affidata al ripescaggio di un brano di Willie Dixon intitolato My Babe, puro Chicago blues passato già per le mani di numerosi altri artisti.
Il disco finirebbe qui, se non fosse che nell’edizione digitale sono stati inseriti come bonus altri tre brani, tutti e tre cantati da Stills e tutti e tre molto notevoli, pur non aggiungendo nulla al di là di performance ispirate e showcase chitarristici d’alta classe: si inizia con Same Old Dog, un brano originale quasi hard blues con la ritmica martellante ed uno Stills molto convincente alla voce, più interessante la versione del classico Born In Chicago, tanto per far capire quale sia la scuola blues prediletta dal gruppo: il brano di Nick Gravenites è una palestra naturale per i chitarristi e seppure ci sia sempre da fare i conti con la versione di Bloomfield, questa versione è meritevole. La chiusura definitiva è affidata alla lentissima Take Out Some Insurance, tratta dal repertorio di Jimmy Reed, forse la migliore delle tre bonus tracks.
Per completezza dirò poi che il disco è stato pubblicato in Europa dalla Provogue: l’edizione americana è con la classica scatoletta denominata jewel case, quella europea è invece in digipack, inoltre sul CD la sequenza dei brani è differente da quella su vinile che ho usato per la recensione.
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