YAGULL – Kai

yagull kai

YAGULL – Kai (Moonjune Records 2015)

Il progetto musicale di Sasha Markovic, chitarrista e autore serbo, trapiantato nella Grande Mela, giunge al suo secondo capitolo, dopo la parentesi che l’artista aveva dedicato alla sua side band chiamata Sours, e per questo secondo capitolo il progetto cambia forma, si allarga: al fianco di Markovic non ci sono più i musicisti che con i loro archi avevano aiutato a definire il concetto di “post rock da camera”, la nuova partner musicale è la pianista giapponese Kana Kamitsubo, proveniente da studi classici e ora anche moglie di Markovic.
Il concetto non è cambiato di molto, l’idea di base rimane la stessa, una manciata di composizioni strumentali originali che si dipanano tra momenti più intimi e straordinari crescendo, solo che duettare con la chitarra c’è il piano al posto degli archi. E accanto alle composizioni originali, come nel primo disco accreditato a Yagull, troviamo anche due cover di rock degli anni settanta rivisitate alla perfezione nello stile Yagull, dopo Black Sabbath e Cream, stavolta a finire nel repertorio di Markovich ci sono i Free (Wishing Well) e i Deep Purple (Burn). Ma ci sono anche un sacco di ospiti a dare una mano in studio, a rendere il tessuto di questo disco ancor più bello, ospiti provenienti dalla scuderia Moonjune come il chitarrista indonesiano Dewa Budjana, il batterista Marko Djordjevic, il chitarrista Beledo e ancora l’armonica di Jackson Kincheloe e molti altri.
Notevoli sono sicuramente i due brani ripescati e rivisitati dal disco d’esordio di Yagull, la possente Dark i cui nuovi abiti sono un autentica sciccheria con il piano e la chitarra che si alternano nell’essere protagonisti e Sound Of M resa preziosa dall’armonica di Kincheloe. Ma a parte le rivisitazioni e le cover, a brillare in questo CD sono i brani nuovi di zecca, dall’iniziale North (che con East dal disco precedente potrebbe costituire una sorta di quartetto le cui terza e quarta parte sono ancora da incidere o comporre) alla breve Z-Parrow, in odore di irish folk anche per via delle suggestioni del flauto di Lori Reddy, alla title track dedicata al figlio dei due titolari.
Ma i pilastri del disco sono senza dubbio Blossom, il brano con Dewa Budjana, Omniprism dalle numerose invenzioni strumentali e l’eccelsa Mio, dal tessuto sonoro che incrocia atmosfere d’ispirazione iberica e evidenti richiami alla musica balcanica che evidentemente troneggia nel dna di Markovic.

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