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YAGULL – Kai

di Paolo Crazy Carnevale

20 maggio 2015

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YAGULL – Kai (Moonjune Records 2015)

Il progetto musicale di Sasha Markovic, chitarrista e autore serbo, trapiantato nella Grande Mela, giunge al suo secondo capitolo, dopo la parentesi che l’artista aveva dedicato alla sua side band chiamata Sours, e per questo secondo capitolo il progetto cambia forma, si allarga: al fianco di Markovic non ci sono più i musicisti che con i loro archi avevano aiutato a definire il concetto di “post rock da camera”, la nuova partner musicale è la pianista giapponese Kana Kamitsubo, proveniente da studi classici e ora anche moglie di Markovic.
Il concetto non è cambiato di molto, l’idea di base rimane la stessa, una manciata di composizioni strumentali originali che si dipanano tra momenti più intimi e straordinari crescendo, solo che duettare con la chitarra c’è il piano al posto degli archi. E accanto alle composizioni originali, come nel primo disco accreditato a Yagull, troviamo anche due cover di rock degli anni settanta rivisitate alla perfezione nello stile Yagull, dopo Black Sabbath e Cream, stavolta a finire nel repertorio di Markovich ci sono i Free (Wishing Well) e i Deep Purple (Burn). Ma ci sono anche un sacco di ospiti a dare una mano in studio, a rendere il tessuto di questo disco ancor più bello, ospiti provenienti dalla scuderia Moonjune come il chitarrista indonesiano Dewa Budjana, il batterista Marko Djordjevic, il chitarrista Beledo e ancora l’armonica di Jackson Kincheloe e molti altri.
Notevoli sono sicuramente i due brani ripescati e rivisitati dal disco d’esordio di Yagull, la possente Dark i cui nuovi abiti sono un autentica sciccheria con il piano e la chitarra che si alternano nell’essere protagonisti e Sound Of M resa preziosa dall’armonica di Kincheloe. Ma a parte le rivisitazioni e le cover, a brillare in questo CD sono i brani nuovi di zecca, dall’iniziale North (che con East dal disco precedente potrebbe costituire una sorta di quartetto le cui terza e quarta parte sono ancora da incidere o comporre) alla breve Z-Parrow, in odore di irish folk anche per via delle suggestioni del flauto di Lori Reddy, alla title track dedicata al figlio dei due titolari.
Ma i pilastri del disco sono senza dubbio Blossom, il brano con Dewa Budjana, Omniprism dalle numerose invenzioni strumentali e l’eccelsa Mio, dal tessuto sonoro che incrocia atmosfere d’ispirazione iberica e evidenti richiami alla musica balcanica che evidentemente troneggia nel dna di Markovic.

Rock & Pop, le recensioni di LFTS/21

di admin

7 febbraio 2013

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Caroline Keating – Silver Heart (Glitterhouse 2012)

 

Non ci è dato a sapere se questa ispirata cantautrice canadese, dalla voce rotonda e cristallina che nell’intonazione ricorda a tratti Norah Jones, abbia un seguito o un nome al di là del mare: il fatto che questo suo bel disco ci arrivi dalla Glitterhouse germanica fa supporre, come nel caso di molti musicisti prodotti da questa label, che si tratti di un’artista in cerca di spazio in Europa, per non confondersi con la marea di altri prodotti similari che in America finiscono per cadere nel dimenticatoio. E ben vengano allora le etichette come la Glitterhouse che ci danno modo di ascoltare ed apprezzare artisti che altrimenti finirebbero nel circuito degli indipendenti senza speranza.

Caroline Keating è canadese, e si sente in qualche modo, le sue canzoni trasudano qua e là quelle atmosfere da immense lande disabitate e quegli umori che per decenni abbiamo ascoltato e colto nelle canzoni di schiere di autori provenienti dalle stesse terre, da Neil Young in poi. Ma attenzione, questa cantautrice, che nel disco si fa accompagnare da una scarna band che include il batterista degli Arcade Fire e canta un brano dedicato a Billy Joel, non è esattamente un clone di qualcun altro, le sue canzoni sono infinitamente piacevoli, per quanto velate di malinconia e estremamente intime e il CD si fa ascoltare e riascoltare con piacere.  Speriamo non rimanga un fenomeno legato alla città di Quebec, dove il suo seguito è cospicuo, o all’Europa dove pare sia impegnata maggiormente sul fronte del palco.

 

Paolo Crazy Carnevale

 

 

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DOUBT – Mercy, Pity, Love And Peace (Moonjune 2012)

 

Nuova produzione per questo trio strumentale già titolare di un progetto a proprio nome: la formazione jazz oriented è capitanata dal chitarrista Alex Maguire ed è uno dei gruppi di punta del panorama belga.  

Se nel disco precedente e nelle produzioni del Maguire solista il jazz era predominante, con questo nuovo lavoro, inciso a Bruxelles nel secondo semestre del 2011, i Doubt virano con decisione verso territori differenti, incursioni nel prog, solide iniezioni di rock, tanta sperimentazione, ma soprattutto il tentativo di sfuggire ad ogni classificazione, che è un po’ la caratteristica e filosofia di vita degli artisti prodotti da questa etichetta.  A quanto dichiarano, i Doubt sono partiti, per realizzare questo disco – inciso praticamente live in studio -, dal’estetica visionaria di William Blake, facendosi ispirare da autentiche icone del secolo scorso, da Jimi Hendrix (citato e omaggiato con una versione di Purple Haze) ai King Crimson, Igor Stravinsky, persino Stevie Wonder. 

Il prodotto finale non è scontato, non di facile ascolto, forse, ma ben assemblato, suonato e accattivante al punto giusto, sia nelle escursioni più rok che nei deliri più lunghi in cui la sperimentazione si fa dominante (la title track o la conclusiva Goodbye My Fellow Soldier).

 

Paolo Crazy Carnevale

 

 

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WALKABOUTS – Berlin (Glitterhouse 2012)

Ci sono voluti trent’anni prima di avere questo primo disco dal vivo della band di Seattle, strano, vista e considerata la lunga discografia del gruppo guidato da Chris Eckman e Carla Torgerson nonché la rinomata fama di live band. Si intende primo disco dal vivo a tutti gli effetti visto che qualche scampolo c’era stato nel 1996 sulla raccolta di rarità Death Valley Days e qualche anno fa c’era stato anche un live praghese venduto solo via mail order dalla Glitterhouse, vale a dire senza distribuzione nei negozi di dischi.

Questo disco rinsalda i rapporti con la casa discografica germanica, a cui i Walkabouts sono legati da anni e che ha pubblicato anche i lavori solisti  e in duo dei leader. Una collaborazione davvero proficua e duratura, come a dire che dopo il primo periodo in cui erano legati alla Sub Pop i Walkabouts continuano a puntare sul pubblico europeo come d’altronde il fatto che il live sia inciso a Berlino conferma.

Un buon disco davvero, anche se in realtà non conosco a fondo la loro discografia, suonato da una band rodata e affiatata, con una selezione di brani che vanno a pescare sia nel passato remoto che in quello prossimo giacché dall’ultimo disco di studio provengono quasi metà dei brani.

Il suono è quello tipico del gruppo, con tutti i debiti saldati nei confronti della grande musica americana del passato, su tutti certe cose dei Velvet Underground e Neil Young i cui echi rimbalzano qua e là per tutto il disco, sia che si tratti di cavalcate distorte, di ballate intense come Bordertown o feedback come nella lunga conclusiva Grand Theft Auto, oltre dieci minuti. Se i brani cantati dalla Torgerson sono più immediati, anche quelli di Eckman si fanno apprezzare, pur ricordando molto da vicino certe cose di Steve Wynn, non a caso un altro debitore del sound velvettiano e younghiano.

Il disco si alterna tra brani carichi e incalzanti (Jack Candy) ed altri più rilassati (Every River Will Burn), mantenendo una linea coerente in cui il suono si basa sui suoni delle chitarre, acustiche, elettriche, distorte che siano: la sezione ritmica e le tastiere sono il tappeto sonoro, ma a dominare sono le chitarre, tre, considerando che a Torgerson e Eckman si è aggiunto recentemente Paul Austin.

Forse non si tratta di un disco facile, i primi due brani sono un po’ ostici, almeno per il sottoscritto, ma poi tutto decolla ed è un piacere farsi trasportare da questi non più giovani epigoni del vecchio bisonte canadese.

 

Paolo Crazy Carnevale

 

 

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YAGULL – Films (Zoze Music 2012)

 

Un titolo che dice tutto, quello del disco di questo progetto legato al chitarrista Sasha Markovic, quattordici tracce, più una a mo’ di bonus in chiusura che riprende il tema iniziale – Dark -, tutte strumentali, che potrebbero essere la colonna sonora di altrettanti piccoli film, o anche l’unica bella soundtrack di un lungometraggio.

Markovic, tra l’altro è realmente titolare delle musiche di un paio di corti, e con la sua chitarra dirige e conduce i compagni d’avventura attraverso questo bel progetto musicale, quasi interamente basato su composizioni originali che portano la sua firma. Films è uno di quei dischi che non stufano mai, grazie ai continui cambi di ritmo e alle belle idee che i musicisti vi hanno infuso, per certi versi lo potremmo definire un disco rock, anche se in realtà è per lo più realizzato con strumenti acustici: chitarre, flauto, violoncello, sassofono, percussioni, batteria e tastiere, tanto che nella presentazione redatta dalla casa discografica (distribuzione Moonjune) si parla di post-rock da camera. E la definizione calza. Pulse, Summerdreamer, East, sono solo alcuni dei titoli che compongono il disco; all’occhio dei frequentatori più assidui del rock classico – inteso come anni settanta – non sfuggirà certo la presenza in scaletta di due titoli che hanno fatto la storia di questa musica: White Room dei Cream e Sabbath Bloody Sabbath dei Black Sabbath, rigorosamente strumentali e acustiche, incastonate alla perfezione tra le composizioni di Markovic, con un grande sforzo in sede di arrangiamento che le fa diventare due brani dall’aria sognante. E a dimostrare il grande talento racchiuso in questo progetto, prima della bonus track finale c’è un’immensa Distance, ancora a firma Markovic, composizione dall’incedere progressivo e incalzante che chiude il disco in bellezza.

 

Paolo Crazy Carnevale