THE RIDES – Can’t Get Enough

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THE RIDES

Can’t Get Enough

(Provogue 2013)

 

Ecco uno dei dischi più inattesi di questo 2013 che volge al termine, e soprattutto uno di quei dischi belli che dissipano al primo ascolto i timori dovuti al fatto che uno dei suoi protagonisti sia Stephen Stills che, visto in azione la scorsa estate al fianco di Crosby e Nash, aveva destato qualche perplessità per lo stato della sua voce.

Sono anni che la voce di Stills è cambiata, soprattutto però, negli  ultimi tempi, si è notato quanto faccia fatica a restare intonata; ma in questo disco, condiviso con Kenny Wayne Shepherd e Barry Goldberg, i dubbi sono fugati, la voce, c’è, è quella di adesso e non quella dei verdi anni, ma c’è. E ci sono le canzoni, tutte d’impronta blues, perché con Goldberg e Shepherd va da sé che non si vada a suonare latin rock o bluegrass acustico.

Pare che il disco sia nato come una sorta di seguito del mitico Supersession a cui Stills partecipò con Al Kooper e Michael Bloomfield nel 1968, in cui suonò tra l’altro anche Goldberg, ma, diciamolo subito a scanso di equivoci, questo Can’t Get Enough è un’altra cosa. Non peggiore, né migliore, solo un’altra cosa. Innanzitutto nel disco del 1968 Bloomfield e Stills non apparivano negli stessi brani, il leader era Kooper e Goldberg non c’era nei brani in cui suonava Stills.

Qui invece i tre sono onnipresenti in tutte le tracce del disco, Stills canta (mentre in Supersession si limitava a suonare) ed è lui il leader, le chitarre sono sempre due e perfettamente distinguibili.

Fatta questa precisazione vi dirò che il disco è gran bello, carico di energia, di voglia di suonare, di suoni ben fatti e canzoni ispirate. Ci sono brani nuovi e originali e ci sono cover, ma sono i primi a trionfare, a testimonianza di una buona vena compositiva del trio. Già dall’apertura si capisce che il gruppo funziona (la sezione ritmica è per metà CSN e per metà Double Trouble) e che l’abbinamento tra il vecchio leone texano ed il giovane Kenny Wayne è azzeccato. C’è sì il blues più canonico, ma ci sono anche quelle intuizioni bluesistiche sempre virate al rock che da sempre abbiamo riscontrato nel repertorio di Stills.

Roadhouse apre le danze alla grande, Don’t Want Lies e Can’t Get Enough – sto occupandomi dei brani nuovi – sono ancor meglio con Stills che canta motivato e le chitarre che incendiano tutto quello che trovano sul loro cammino. Kenny Wayne canta una scanzonata rilettura di Search & Destroy degli Stooges, la classica Talk To Me Baby e con Stills duetta in Rockin’ In The Free World (fateci caso, è dal 1975 che in quasi ogni disco solista di Steve c’è un brano con la firma di Neil Young!).

Stills dal canto suo è protagonista anche in una lunga versione dello standard Honey Bee, della nuova composizione Only Terdrop Fall (con hammond e chitarre in delirio) e dell’high light del disco, la conclusiva Word Game, un gran brano che in versione acustica era stato pubblicato sul suo secondo disco solista ed era anche stato preso anche in considerazione dai Manassas (come testimonia la versione sottotono apparsa sul recente disco d’archivio Pieces). La nuova versione è elettricità allo stato puro, il gruppo sembra fatto apposta per questo brano e Stills lo canta con un trasporto invidiabile, tanto da averlo reso un must nei concerti che il gruppo ha tenuto nel corso del tour autunnale con cui promuove il disco.

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