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TOMMY CASTRO – Bluesman Came to Town

di Paolo Crazy Carnevale

28 novembre 2021

tommy castro

TOMMY CASTRO – Bluesman Came to Town (Alligator/IRD 2021)

Lo ammetto, quando ho realizzato che questo settimo disco di Tommy Castro su Alligator vedeva l’artista accompagnato da una sorta di house band al posto dei suoi fidi Painkillers (presenti tra l’altro nei due eccellenti lavori che lo avevano preceduto), mi sono un po’ preoccupato.

Il fatto che ci fosse il prezzemolino Kevin McKendree (tastierista e produttore presente in molte pubblicazioni Alligator) e che tra i vari tecnici in cabina di regia figurasse l’ancor più prezzemolo Kid Andersen (per altro presente anche in altri lavori di Castro) mi ha fatto temere di imbattermi in un sound preconfezionato e un po’ qualunque tipico di altri dischi blues dell’etichetta, tipo quelli di Rick Estrin, Tinsley Ellis, Nick Moss: tutti dischi di qualità, ma senza il mordente che hanno quelli di altri artisti Alligator come Shemekia Copeland, il duo Curtis Salgado & Allan Hager, Kingfish.

Proprio al produttore e alla house band dell’esordio del giovane chitarrista Kingfish, si è affidato Castro per il suo primo concept album, questo Bluesman Came to Town, che racconta la storia di un ragazzo di provincia la cui vita cambia radicalmente dal momento in cui nella sua cittadina arriva un bluesman.

La produzione esperta di Tom Hambridge e il sostegno dello stesso alla batteria, di Rob McNeeley alla seconda chitarra, Tommy MacDonald al basso e del suddetto McKendree portano il chitarrista e cantante di San Francisco a realizzare un disco ambizioso e importante, soprattutto bello.

Un disco che può contare sul poliedrico modo di sentire il blues che è poi quello che rende Castro più interessante e valido dei menzionati Nick Moss e Tinsley Ellis.

Una dozzina di brani nuovi di trinca, tutti composti per l’occasione da Castro e Hambridge, tutti ben suonati, a partire dalla convincente Somewhere, che apre (e chiude, ma in versione slide acustica in cui con Castro c’è la sezione ritmica dei suoi Painkillers) il disco alla grande con un cameo di Jimmy Hall all’armonica, la chitarra è sempre dominante, ma è tutto l’insieme che gira bene, a partire dall’uso maturo e vario della voce. Cosa che si conferma nella title track in cui i cori sono a cura di Hall e in Child Don’t Go, veloce brano in cui a duettare con il titolare troviamo Terrie Odabi, mentre alle tastiere è ospite Mike Emerson (della band abituale di Castro).

Prima perla del disco è You To Hold On To, spettacolare virata verso il soul, con voce alle stelle e grande lavoro dell’organo di McKendree. Con Hustle le atmosfere si fanno più moderne, molto funk con echi di James Brown che convincono appieno, grazie anche ad un’azzeccata sezione fiati arrangiata da Keiyh Crossan.

I Got Burned è uno shuffle come tanti se ne sono sentiti, molto meglio il lento blues dal sapore texano Blues Prisoner in cui la chitarra di Castro duetta egregiamente col piano di McKendree nella lunga introduzione. I Caught A Break sembra un omaggio ai riff di Chuck Berry, l’eloquente Women, Drugs & Alcohol è solido rock blues, blues notturno per Draw The Line in cui ritroviamo Emerson alle tastiere. Il soul della successiva I Want To Go Back Home è un altro pezzo da novanta del disco, grande interpretazione vocale, chitarra essenziale, sezione fiati giusta (qui arrangia Deanna Bogart) con misurato assolo di sax, tastiere ficcanti. Applausi (da immaginare a scena aperta nelle esecuzioni live del disco). Il disco si chiude con il riff ripetitivo della roboante e sferragliante Bring It On Back, prima della ripresa dell’opening track a cura dei Painkillers.

Paolo Crazy Carnevale

TOMMY CASTRO AND THE PAINKILLERS – Killin’ It Live

di Paolo Crazy Carnevale

15 luglio 2019

Tommy castro killin it alive

OMMY CASTRO AND THE PAINKILLERS – Killin’ It Live (Alligator 2019)

Battere il ferro fin che è caldo: Tommy Castro, reduce dal buon riscontro dell’ultimo album di studio, Stompin’ Ground, uscito appena un paio di anni fa, dà alle stampe, sempre su etichetta Alligator, un disco dal vivo realizzato anche stavolta con i suoi Ammazzadolori. E per giocare col nome del gruppo ed il titolo del disco, stavolta i dolori vengono appunto ammazzati dal vivo, dai palchi di New York, Austin, San Francisco e Solana Beach, evidentemente alcune delle date toccate dal chitarrista e dalla sua band nel tour promozionale di Stompin’ Ground. Inutile dire che anche questa volta il quartetto centra il bersaglio e quello che ne esce è un’infuocata tirata di solido blues elettrico, di quelle che tengono botta dall’inizio alla fine. Make It Back To Memphis è un boogie su cui Mike Emerson piazza il piano elettrico, un buon inizio per scaldare strumenti, musicisti e pubblico se dobbiamo immaginare che il disco ricalchi la scaletta di un concerto integrale. Rispetto a quanto avevamo apprezzato del disco di studio, qui mancano ovviamente gli ospiti (ricordo in particolare David Hidalgo e Charlie Musselwhite) e il produttore (Kid Andersen), ma Castro e soci (oltre a Emerson ci sono Randy McDonald al basso e Bowen Brown ai tamburi) non hanno bisogno di molto altro e il suono che sviluppano, soprattutto quando Emerson suona l’organo anziché il piano, è fantastico e coinvolgente. E lo si capisce dal secondo brano, Can’t Keep A Good Man Down, e ancor meglio dalla successiva cover della possente Leavin’ Trunk di Sleepy John Estes, brano che abbiamo amato tramite il primo Taj Mahal e che qui, in versione più aggressiva non dispiace assolutamente. Poi il ritmo rallenta, Lose Lose è un brano che Castro ha composto con Joe Louis Walker, con eccellente dialogo tra piano e chitarra elettrica, cantato con voce ispirata ed adeguata.

Il copione si ripete e di nuovo abbiamo un brano tirato col piano elettrico ed uno con l’organo, poi però Castro e compagni virano verso il soul con un brano originale ben cantato con voce molto ispirata, Anytime Soon, che figurava in Soul Shaker uscito nel 2005 su Blind Pig Records. She Wanted To Give It To Me viene dal disco del 2014, un gran funky, non a caso tra gli autori oltre a Castro c’è Narada Michael Walden, gran lavoro del basso e bordate d’organo che si alternano alle staffilate della chitarra. Two Hearts, altra eccellente composizione prelude al gran finale, entrambe le ultime tracce provengono dal concerto texano, affidato all’unico brano ripreso dal disco più recente della formazione: la cover di Them Changes, title track dell’omonimo disco di Buddy Miles del 1970. Tommy Castro e i Painkillers avevano già dimostrato grande talento con la versione di studio, inutile dire che la versione dal vivo non poteva essere da meno, anzi, innanzitutto il brano è cantato in modo impeccabile e la sezione ritmica ce la mette tutta per sostenere il riff. Quello che ne esce è un trionfo musicale (grazie anche al brano che di per sé è notevole), la parte centrale strumentale, sviluppata giustamente in chiave jam sembra ripiombarci in quel principio di anni settanta in cui la musica rock e le sue contaminazioni hanno davvero dato alcune delle lor cose migliori.

TOMMY CASTRO AND THE PAINKILLERS – Stompin’ Ground

di Paolo Crazy Carnevale

18 ottobre 2017

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TOMMY CASTRO AND THE PAINKILLERS – Stompin’ Ground (Alligator 2017)

Nativo della Bay Area, Tommy Castro calca le scene del blues elettrico da oltre venticinque anni: è partito dalla gavetta, secondo le migliori tradizioni, suonando in locali storici e costruendosi poco a poco una fama che lo ha portato dalle sconnesse assi del palco del Saloon – un angusto quanto imprescindibile tempio del blues di San Francisco – agli onori del S.F. Blues Festival che gli hanno spalancato l’accesso ad un seguito più diffuso a livello nazionale e successivamente mondiale.
Il primo disco era stato pubblicato a nome Tommy Castro Band proprio con l’aiuto della piccola label del Saloon, poi Castro era approdato in casa Blind Pig pubblicando diversi dischi, ora a pubblicare le sue produzioni è la titolatissima Alligator, una delle case principali per quanto riguarda il blues.

Questo nuovo, recentissimo Stompin’ Ground è l’ennesimo tassello di una lunga e gloriosa storia, ed è anche un signor disco: ne sono passati davvero tanti di anni da quel disco su Saloon Records in cui l’influenza principale era la scuola di Chicago. Ora Castro è un maturo bluesman dalla voce fortemente soul e molto dotato alla chitarra, al suo fianco c’è ancora il bassista Randy McDonald come sul disco d’esordio, ma la band è irrobustita anche dalla batteria di Bowen Brown e in particolare dalle tastiere sapienti di Michael Emerson che infila organo e piano elettrico in ogni brano. A dare una mano un po’ dappertutto c’è poi il produttore Kid Emerson.

Diviso più o meno equamente tra buone composizioni originali e azzeccatissime cover ripescate in particolare nel repertorio blues dei primi anni settanta, Castro e soci ci consegnano un bellissimo disco di soul blues piacevolissimo, confezionato con cura e con l’aiuto anche da parte di un paio di amici titolatissimi che ci infilano autentiche zampate di classe.
Possiamo dire di essere lontani da quel blues bastardo tipico della San Francisco di fine anni sessanta, quando i chicagoani Gravenites, Bloomfield e Bishop vi avevano cercato asilo e ispirazione, provenendo insieme o separatamente dall’illustre gavetta nella Butterfield Blues Band.

Ottimo, per carità, il classico Frisco Blues di quell’epoca, ma senza dubbio datato: cosa che non è quello suonato dai Painkillers di Tommy Castro.

Dopo una tripletta apprezzabile composta da Nonchalant, Blues Around Me e dalla robusta Fear is The Enemy, arriva la prima perla del disco, una lenta e penetrante soul ballad cantata con gran convinzione e altrettanto ben suonata (bella la parte della sezione fiati) My Old Neighborhood che si candida subito tra le più belle tracce di questo disco. L’asse si sposta più verso il blues texano o comunque sudista con il boogie di Enough Is Enough, con un bel lavoro di slide, e diventa poi blues muscolare con Love Is sostenuta dal lavoro della sezione ritmica in cui si intrufolano chitarra e tastiere.

Rock Bottom è un pezzo di Elvin Bishop, un rock blues di stampo sudista con il pianoforte in bella mostra e un lavoro di chitarra solista del titolare che convince in modo particolare e che duetta con la sei corde di Mike Zito; ancor meglio il brano seguente, Soul Shakes ripescato dal repertorio di Delaney & Bonnie (stava su To Bonnie From Delaney del 1971), composizione dal ritmo e dal refrain contagiosi, decisamente convincente con la voce grintosa di Danielle Nicole a duettare con quella di Castro come Bonnie faceva col consorte Delaney. Further On Down The Road è il celebre brano di Taj Mahal, perfettamente inserito nel contesto, con un’ulteriore grande prova della voce di Castro che su un brano del genere si trova totalmente a proprio agio, abilmente supportato dal tappeto d’organo di Emerson. Them Changes, a firma Buddy Miles è un altro gran brano d’ispirazione soul che proviene nientemeno che dal Band Of Gypsies hendrixiano, Castro, che non è uno stupido si guarda bene dal voler strafare come spesso accade a coloro che si cimentano con Hendrix e la sua versione del brano – che può contare su un gran bel duetto con la chitarra e la voce di David Hidalgo dei Los Lobos – diventa così preziosa ed essenziale, non scontata.

Stick And Stones, già sentita da Ray Charles e da Joe Cocker, è forse più interlocutoria, meglio il finale, con Charlie Musselwhite all’armonica e alla voce: una composizione originale lenta e penetrante intitolata Live Every Day, autentico omaggio a quel blues di Chicago che è stato il primo amore di Castro.