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LEAF RAPIDS – Velvet Paintings

di Paolo Baiotti

17 settembre 2025

LEAF RAPIDS
VELVET PAINTINGS
Forty Below 2025
Mile33 2024

I coniugi Keri e Devin Latimer sono il fulcro dei Leaf Rapids, formazione che prende il nome dalla cittadina situata nel nord-ovest del Manitoba in Canada dove risiedono, una zona isolata in un territorio un tempo abitato da tribù indiane. Dopo avere militato nei primi anni del nuovo millennio nel quartetto di alternative-country Nathan che ha inciso tre album, hanno proseguito da soli esordendo nel 2015 con Lucky Stars, seguito nel 2019 da Citizen Alien, un disco particolare che traeva ispirazione da vicende famigliari della coppia (Keri è di origine giapponese).
Dopo una pausa coincisa con il periodo della pandemia è il momento di Velvet Paintings, un album che vuole avere un suono roots-country e una visione più ampia sul mondo e sugli interpreti del momento attuale. Keri (autrice e cantante) e Devin (basso) sono accompagnati da Joanna Miller (batteria e voce) e Chris Dunn (chitarra), con l’aggiunta del contributo di Bill Western (pedal steel), Geoff Hilhorst (tastiere), Natanielle Felicitas (violoncello) e John Paul Peters (violino) che ha mixato e coprodotto il disco con Keri nello stuudio Private Ear di Winnipeg.
La title track si offre all’ascolto in modo quieto e melodico con la voce sottile della cantante in primo piano; Starling To a Starling accelera il ritmo senza scossoni, con un’influenza country data dalla pedal steel, che continua in Fast Romantic, aperta da arpeggi non dissimili da Jackson dei coniugi Cash. Si prosegue con la romantica ballata Silver Fillings e con il delicato folk-pop Night Shift in cui Keri lascia il ruolo di voce solista alla batterista Joanna Miller, autrice della canzone. L’eterea Paramjit’s Sonnet ammorbidita dagli archi conferma la preferenza per le melodie avvolgenti, ribadita dalla carezzevole In The Woods, mentre il ritmo si rialza un pochino nel country chitarristico di Trepidatious Celebrations in cui gli strumenti si intrecciano con sapienza, portandoci alla chiusura di Insomniac Show.
Prodotto con il prezioso aiuto finanziario della “Manitoba Film & Music”, Velvet Paintings è l’ennesima riprova della vitalità della scena roots canadese.

Paolo Baiotti

LEAF RAPIDS – Citizen Alien

di Paolo Baiotti

14 luglio 2019

leaf cover[1400]

LEAF RAPIDS
CITIZEN ALIEN
Coax Records 2018

Leaf Rapids è una cittadina situata in Canada nel nord-ovest del Manitoba, in una zona isolata situata su territori un tempo abitati da tribù indiane, popolata da meno di settecento persone tra le quali i coniugi Keri e Devin Latimer, che hanno formato qualche anno fa un duo con il nome della loro città natale. Keri (voce e chitarra) e Devin (basso), dopo avere militato dal 2001 nel quartetto di alternative-country Nathan incidendo tre albums e un Ep molto apprezzati in ambito folk-roots, hanno proseguito insieme esordendo con Lucky Stars nel 2015, seguito tre anni dopo da Citizen Alien, un disco molto particolare e sentito dalla coppia, che trae ispirazioni da vicende famigliari personali (e non solo) legate all’emigrazione tra il 1800 e il 1900. Storie drammatiche piene di amore e speranza, alleggerite da tocchi di ironia.

Keri è di origine giapponese; nel 1942, durante la seconda guerra mondiale, la nonna e altri 22.000 immigrati dal Giappone, considerati nemici del Canada, vennero deportati dalle loro case, privati dei loro averi e spostati in treno nella regione dell’Alberta dove furono costretti ai lavori forzati con una paga ridicola fino al 1949, quando furono liberati privi di ogni sussistenza. A questa vicenda si ricollega la title track, un country-roots abbellito dalla tromba del produttore Rusty Matyas e da delicati arpeggi di chitarra. La nonna di Keri, spedita in nave da Kyoto a Victoria per sposare un uomo che neppure conosceva, lavorò come parrucchiera nel negozio del marito. Un giorno affrontò un cliente che le stava palpeggiando una gamba, ferendolo con una forbice…da questo incidente che rese famoso il negozio deriva il brano Barbershop Shears, dall’andamento orientaleggiante. Il testo di Little Sister, una ballata intimista tra folk e country che può ricordare Emmylou Harris anche nel modo di cantare, è ispirato alle gravidanze delle adolescenti e ai relativi problemi con le famiglie, quello del delicato valzer Virginia con Bill Western alla pedal steel si riferisce alla doppia fatica delle madri lavoratrici, quello di Huvasik racconta la drammatica storia degli immigrati Islandesi che raggiunsero il Manitoba nel 1875 stabilendosi a Gimli (paradiso nella loro lingua), dove furono decimati dall’aspro inverno canadese e da un’epidemia. Parliament Gardens celebra un prozio di Keri decorato con medaglie al valore per gli atti di eroismo compiuti durante la prima Guerra Mondiale e ricordato anche da un lago e da una montagna, rimasto comunque traumatizzato dai drammi del conflitto da non parlarne mai.

Citizen Alien non è un disco da entusiasmo immediato: complesso e studiato nei testi, etereo e poco movimentato nella parte musicale con arrangiamenti sparsi e minimali e un uso accentuato del Theremin (un particolare strumento elettronico), curato nell’aspetto grafico, necessita di più ascolti per essere compreso e apprezzato.