BIRDFEEDER – Woodstock
BIRDFEEDER
WOODSTOCK
Soul Selects 2024
Chris Harford, solista e membro fondamentale della indie-band 3 Colors, nei primi anni novanta si ritrova con l’amico Mark Mulcahy, batterista e cantante solista nonché anima dei Miracle Legion e poi dei Polaris. Entrambi dell’area di Boston, registrano dei demos che restano per un paio di decenni in cantina, finchè Chris li fa ascoltare a Kevin Salem, chitarrista e cantante, autore di Soma City nel ’94 seguito da altri due album da solista, dopo avere fatto parte dei Dumptruck e per un breve periodo dei Yo La Tengo. A causa di problemi di salute Kevin aveva messo da parte la carriera solista dedicandosi alla produzione e alla scrittura di colonne sonore, trasferendosi a Woodstock. Harford e Salem decidono di registrare alcuni di questi demos, aggiungendo un paio di brani nello studio del chitarrista che produce il disco o, meglio, il mini-album formato da otto brani per meno di mezzora, che ha come copertina una foto dello studio. Il nome Birdfeeder viene suggerito da Mark, voce solista in tutte le canzoni. Siamo in ambito indie-rock con venature pop, canzoni semplici arrangiate in modo essenziale e minimale, che hanno un loro fascino e una ragione d’essere, trattandosi di tre musicisti di valore.
Se l’apertura di Big Chairs And Candy ricorda i Wilco più rilassati anche nella voce, She Stood Up At The PTA ha una melodia azzeccata, come la beatlesiana My Cousin. Più vicine al rock il primo singolo So Triangular, pur essendo molto asciutto con qualche somiglianza con i fratelli Dickinson e la ritmata So It’s a Bomb, mentre il suono si ammorbidisce nuovamente in Born This Way (da apprezzare gli intrecci vocali tra Mark e Chris) e nell’acustica A Fairy Tale cantata parzialmente in falsetto. In chiusura l’unico demo invariato rispetto al nastro originale, la distorta e sperimentale Super Diamondaire, che non si amalgama con il resto del materiale.
Paolo Baiotti
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