Archivio di giugno 2025

MICHAEL MENAGER – Line In The Water

di Paolo Baiotti

30 giugno 2025

menager

MICHAEL MENAGER
LINE IN THE WATER
Autoprodotto 2023

Californiano nativo dell’area est di Los Angeles, ha studiato nella Bay Area durante gli anni sessanta laureandosi in letteratura, appassionato sia di autori storici che degli scrittori della Beat Generation. Nello stesso periodo si è avvicinato alla musica folk e blues partendo da Mississippi John Hart e Gary Davis per arrivare a Dylan, Waits e Townes Van Zandt. Dopo avere vissuto in Algeria e a Parigi è tornato in California e quindi in Oregon dove ha lavorato in diversi settori, suonando nel tempo libero. Nell’87, dopo una delusione personale, si è trasferito in Australia adattandosi a diversi lavori, ma dedicandosi con maggiore attenzione alla musica. L’amico cantautore Heath Cullen lo ha convinto ad esordire in età matura nel 2014 con Clean Exit seguito due anni dopo da Not The Express, entrambi prodotti da Cullen, abbracciando uno stile country-blues con influenze folk e bluegrass, un pizzico di jazz e rock and roll, in sostanza quello che viene definito “Americana”. Dopo una lunga pausa torna con Line In The Water in cui si è affidato nuovamente all’australiano, autore nel 2020 del pregevole Springtime In The Heart per il quale si era spostato a Los Angeles dove era stato prodotto da Joe Henry. Registrato nel New South Wales durante la pandemia, il disco conferma la solida scrittura folk di Menager, arricchito nel suono dai tipici tocchi essenziali e minimali del produttore che ha suonato batteria, banjo, violino e mandolino (il nome della band di accompagnamento The Devil’s Creek Rounders è fittizio, sono tutti alter ego di Heath).
Menager ha una voce folk espressiva e avvolgente, anche quando narra invece di cantare come nella bluesata title track. Line In The Water comprende nove tracce autografe e una cover, partendo con il folk What Is It Really That i Need? caratterizzato da interventi mirati del violino e di chitarra acustica, seguito da High Water Ahead che richiama il suono minimale e cadenzato di Tom Waits e dal blues Baby, I Can Change.
Tutti i brani fanno la loro figura; dovendo scegliere citerei ancora la melodica Autumn Flood On Devil’s Creek in cui spicca un’elettrica incisiva e l’acustica e drammatica Just This. Il disco è chiuso dall’unica cover, Home di Heath Cullen, una ballata arrangiata con un violino di matrice irlandese.
Sulla pagina Bandcamp dell’artista sono reperibili i suoi tre album.

Paolo Baiotti

ASHLEY E. NORTON – Call Of The Void

di Paolo Baiotti

18 giugno 2025

Ashley-E-Norton

ASHLEY E NORTON
CALL OF THE VOID
Autoprodotto 2024

Ashley E Norton è nata a Boston, ma è californiana d’adozione, essendosi trasferita a Ramona nell’area di San Diego dopo un periodo passato in Arizona. Abbiamo scritto di lei alcuni anni fa quando, superata la pandemia, dopo avere fatto parte del duo indie/folk Whitheward, ha iniziato ad esibirsi in un altro duo con Stephanie Groot con il nome Lady Psychiatrist’s Booth pubblicando un ep e un album. Ora Ashley, che ha fatto parte di altri gruppi in passato (Delcoa, Ash & The Mondays, Dolly’s Revenge), si presenta da solista con un album registrato a Nashville prodotto da Johnny Garcia, chitarrista di Garth Brooks e Trisha Yearwood, accolto favorevolmente negli ambienti roots europei. Non è un disco country, bensì di Americana con venature country e pop che si adattano alla voce duttile e solida della cantante che ha scritto tutti i brani, alcuni con Garcia e Jimmy Mattingly, ad eccezione di una cover. Garcia ha suonato ogni strumento ad eccezione di violino e violoncello, lasciati a Mattingly (anche lui proveniente dalla band di Brooks).
L’apertura di America In Me lascia intendere le influenze tra roots e country di Ashley, mettendo in mostra la sua voce melodica un po’ alla Sheryl Crow e un accompagnamento essenziale in cui spicca la chitarra solista di Garcia. Le canzoni hanno una loro intensità, pur non tralasciando una certa leggerezza. Every Woman I Know è più dura e cadenzata, interpretata con tonalità più basse, mentre Baby Blue Jean ha un ritmo spezzato, venature country e una chitarra twangy. La cover di Going To California dei Led Zeppelin, che segue la ritmata title track, fa la sua figura anche se è diversa dal resto del repertorio, con gli archi piazzati al momento giusto. Proseguendo nell’ascolto emergono il roots-pop scorrevole di The Fortune Teller, in cui si apprezza l’apporto strumentale di Garcia, la bluesata I Only Think About You, il western-roots It Doesn’t Matter e la ballata Songbirds In The Stars posta in chiusura con un violino espressivo.
Pur denotando qualche incertezza nella scrittura, Call Of The Void è un esordio solista promettente.

Paolo Baiotti

WEST OF EDEN – Whitechapel

di Paolo Baiotti

9 giugno 2025

west of

WEST OF EDEN
WHITECHAPEL
West of Music 2024

In attività da quasi trent’anni con tredici album all’attivo, gli svedesi West Of Eden di Goteborg hanno quasi sempre cantato in inglese, fedeli ad una matrice folk celtica. Nel 2021 hanno pubblicato in svedese Taube, interpretando brani del cantautore locale Evert Taube, molto conosciuto in Svezia; l’anno dopo sono tornati all’inglese con Next Stop Christmas, secondo album natalizio del loro percorso dopo Another Celtic Christmas del 2016, seguito da lunghi tour nei paesi nordici, ripetuti ogni anno sotto le festività.
Punti di forza del gruppo sono la voce chiara e limpida della leader Jenny Shaub che suona anche il flauto e la fisarmonica e che ha una tonalità perfetta per il folk britannico che richiama Fairport Convention e Steeleye Span, coadiuvata dal fratello Martin Shaub alla voce, chitarra acustica, mandolino e tastiere; gli altri componenti sono Lars Broman al violino, Henning Serhede alla chitarra, lap steel e banjo, Martin Holmlund al basso e Ola Karlevo alla batteria, percussioni e bodhran.
Nei loro dischi hanno sempre curato le armonie vocali e il suono, nonché la grafica. Anche il nuovo album è un digipack in cd con un booklet che contiene i testi; inoltre ha la particolarità di essere un concept album in cui le canzoni hanno come soggetto le storie delle donne vittime di Jack lo squartatore, criminale che ha agito nell’Ottocento nel quartiere londinese di Whitechapel. Siamo quindi in pieno ambito di “murder ballads”, sviluppate con un’alternanza di suoni elettrici e acustici combinati con sapienza.
Tra i brani di un disco che scorre veloce senza momenti di stanca spiccano Whitechapel Blues che descrive il quartiere fungendo da introduzione, seguito dal folk-rock The Ten Bells (riferimento a un pub della zona associato a due vittime del killer) in cui Jenny canta e suona la fisarmonica, la notevole ballata Nothing profumata d’Irlanda e interpretata alla perfezione da Jenny, la robusta e trascinante Harry The Hawker cantata da Martin che richiama il suono dei migliori Waterboys con l’intervento del banjo di Ron Block (Union Station), la scorrevole Mudlarking, lo strumentale irish Dark Annie e la delicata We Will Never Be Afraid Again che chiude l’album con un testo di speranza per un futuro più sereno.

Paolo Baiotti

BOBBO BYRNES – Bobbo Byrnes

di Paolo Baiotti

3 giugno 2025

bobbo

BOBBO BYRNES
BOBBO BYRNES
Highway Five Records 2024

Abbiamo seguito con attenzione l’attività di questo artista negli ultimi anni, a partire da The Red Wheelbarrow, registrato a Nashville con l’aiuto di Ken Coomer (Uncle Tupelo, Wilco), proseguendo con il quarto album SeaGreenNumber5 più intimo e melodico e con October, inciso in solitudine durante un tour europeo nell’autunno del 2022 in due studi storici a Berlino (Hansa Studios) e Dublino (Windmill Lane Studios) con chitarra acustica, mandolino, e-bow e voce.
Con l’omonimo album dell’anno scorso Bobbo torna a una dimensione elettrica registrando con il suo trio The Fallen Stars, fondato quando si è trasferito da Boston nel sud della California, del quale fanno parte la moglie Tracy al basso e voce e il batterista Matt Froehlich, nei Wandering Sun Studios di Anaheim coadiuvato dal produttore David Nielsen. Questo è un disco rock nel cuore e nell’anima, ritmato e dinamico con chitarre taglienti e incisive che si esprimono maggiormente nell’opener Around Here, nella successiva I Cannot Say e nella graffiante Bad Decisions, pur non essendo trascurata la cura delle melodie nelle ballate Too Many Miles, Long Way Down e Chance dal sapore country, in cui Bobbo suona anche la pedal steel. Non mancano influenze pop nella scorrevole Never Learned To Fly, in Some Salvation cantata in coppia con la moglie e in Long Way Down, arrangiate con gusto e attenzione. I testi sono legati ad emozioni intime e personali, in particolare soffermandosi sul potere della musica come guarigione e redenzione.
L’unica cover è una deliziosa ripresa di Glad & Sorry di Ronnie Lane, incisa originariamente dai Faces su Ooh La La nel 1973, mentre la breve e sognante Not Lost chiude sobriamente un disco solido che conferma le qualità del suo autore.

Paolo Baiotti