LITTLE FEAT – Sam’s Place

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LITTLE FEAT
SAM’S PLACE
Hot Tomato 2024

I Little Feat hanno avuto due vite: la prima negli anni settanta fino allo scioglimento del ’79 che ha preceduto di poco la morte del leader Lowell George il 29 giugno, la seconda a partire dal 1987 quando Paul Barrere, Sam Clayton, Kenny Gradney, Richie Hayward e Bill Payne hanno deciso di riformare la band aggiungendo il cantante e chitarrista Craig Fuller e prosegue ancora oggi dopo qualche rimescolamento. Della line-up storica sono rimasti Clayton (voce, percussioni), Payne (tastiere e voce) e Gradney (basso e voce), affiancati da Fred Tackett (chitarra, mandolino e voce dall’87), Scott Sharrard (già con Gregg Allman, chitarra dal 2019) e Tony Leone (già con Chris Robinson, Phil Lesh e Levon Helm, batteria dal 2020).
Se è indubbio che la band californiana sarà ricordata soprattutto per la creatività del primo periodo con dischi come Dixie Chicken, Feats Don’t Fail Me Now e il monumentale doppio live Waiting For Columbus, anche nel secondo periodo ci sono stati dischi di buon livello come Let It Roll e Join The Band, ma il gruppo si è soprattutto dedicato ai tour suonando con continuità e pubblicando parecchi album dal vivo sull’etichetta di famiglia Hot Tomato nata nel 2002.
L’inserimento di Sharrard e Leone ha ridato nuova linfa alla formazione, che è tornata in studio a Memphis dopo 12 anni per incidere il primo disco interamente dedicato al blues con la particolarità di avere come vocalist principale Sam Clayton (da qui il titolo) dotato di una voce profonda, sporca e bluesata. Il risultato è decisamente positivo in quanto Sam’s Place è un disco spumeggiante, rilassato e suonato con gran classe, senza volere dimostrare chissà cosa, manifestando serietà e conoscenza della materia (non ne dubitavamo).
L’unica composizione autografa apre il disco: Milkman, scritta da Clayton, Tackett e Sharrard e dedicata al nipote del percussionista di professione lattaio è un mid-tempo scandito dai fiati di Marc Franklin e Art Edmaiston, con inserimenti del piano e delle due chitarre che si lasciano andare nel finale. Si prosegue con una trascinante You’ll Be Mine (Willie Dixon) e con una pregevole Long Distance Call del maestro Waters in cui si distinguono la slide di Scott e la voce languida di Bonnie Raitt che duetta con Clayton. L’up-tempo Don’t Go Further, il classico Can’t Be Satisfied in cui Sam gigioneggia alla voce mentre Scott infila un calibrato assolo di slide e lo slow Last Night di Walter Jacobs (Little Walter) in cui si aggiunge l’armonica di Michael LoBue caratterizzano la parte centrale del disco, prima di una virata verso New Orleans con Why People Like That di Bobby Charles irrorata dai fiati e dall’armonica. Si torna a Willie Dixon con una fluida e contagiosa Mellow Down Easy in cui scorrazzano le chitarre, per chiudere in modo un po’ prevedibile con Got My Mojo Working registrata dal vivo. Giudicato positivamente da critica e appassionati, il disco ha ottenuto la candidatura a un Grammy nella categoria “Best Traditional Blues Album”.
Tra pochi giorni i Little Feat dovrebbero pubblicare un nuovo album in studio, Strike Up The Band, il primo di materiale inedito dopo 13 anni! Il 5 maggio partiranno dal Vermont per un lungo tour che, con qualche pausa, terminerà in New Jersey a fine ottobre.

Paolo Baiotti

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